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MASSIMO TROISI, UN MALINCONICO GENIO COMICO

Il  l4 giugno del 1994 moriva a Roma, a soli 41 anni, all' Infernetto, in casa della sorella, per un infarto come conseguenza di febbri reumatiche Massimo Troisi , nato a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio 1953.

Principale esponente di quella che venne definita la nuova comicità napoletana nata agli albori degli anni settanta, soprannominato «il comico dei sentimenti» o il «Pulcinella senza maschera», è considerato uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.

Istintivo erede di Eduardo e di Totò, accostato anche a Buster Keaton e Woody Allen, cominciò la sua carriera col gruppo I Saraceni e poi con gli inossidabili amici de La Smorfia, Lello Arena ed Enzo Decaro. Con la mitica calzamaglia nera.

La tappa fondamentale fu, probabilmente, quella televisiva, che lancia Massimo Troisi  nell'olimpo dei comici.
Correva l'anno 1978 e Enzo Trapani ideava NON STOP, fucina dei futuri campioni d'incasso del cinema italiano, Carlo Verdone, I Gatti di Vicolo Miracoli, I Giancattivi, e La Smorfia.

Il successo del trio fu inatteso e immediato e consentì al giovane Troisi, naturale, elegante e proletario allo stesso tempo, di esordire al cinema con RICOMINCIO DA TRE (1981), il film che decretò il suo trionfo come attore e come regista. Dall'inizio degli anni ottanta si dedicò esclusivamente al cinema interpretando dodici film e dirigendone quattro.

Malato di cuore sin dall'infanzia, la morte lo ha colto due giorni prima di terminare la sua ultima pellicola, IL POSTINO, per il quale verrà, qualche tempo dopo, candidato ai premi Oscar come miglior attore e per la miglior sceneggiatura non originale.

Si distinse anche al di fuori della recitazione, lasciando altri contributi: scrisse infatti O ssaje comme fa 'o core, una poesia messa in musica dall'amico Pino Daniele, un'allusione tanto ai problemi al cuore (sia dell'attore sia dell'amico musicista) quanto al romanticismo.

Nel 1982 partecipa, come soggettista e attore, nei panni di sé stesso, al film di Ludovico Gasparini No grazie, il caffè mi rende nervoso, al fianco di Lello Arena. Nel film Troisi è l'attesissimo ospite del Primo Festival Nuova Napoli ed è l'obiettivo principale del personaggio interpretato da Arena, un maniaco assassino intenzionato a uccidere chiunque partecipi all'ambito festival. Nel finale del film viene brutalmente ucciso dal maniaco, legato a un organetto che suona ad alto volume Funiculì funiculà con la bocca tappata con un pezzo di pizza.

Nel 1983 la sua seconda pellicola e forse il suo capolavoro: SCUSATE IL RITARDO. Il titolo della pellicola è un riferimento sia al troppo tempo trascorso dal film precedente, del 1981, sia ai diversi tempi dell'amore e alla non sincronia dei rapporti di coppia. Nel film Troisi interpreta Vincenzo, un uomo titubante, timoroso di tutto ciò che potrebbe essere, di tutto ciò che potrebbe accadere.

Nel 1984 uscì Non ci resta che piangere, scritto, diretto e interpretato con l'amico Benigni. La pellicola narra le vicende di due amici che vengono catapultati, per uno strano scherzo del destino, nel lontano 1492. Molte le varie avventure in cui i due si trovano coinvolti, tra cui l'incontro con Leonardo e il disperato tentativo di impedire la partenza di Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America, una sorta di canovaccio per qualche scena.

La coppia Troisi-Benigni funzionò a tal punto da essere accostata al duo Totò e Peppino: Benigni, tracotante ed esuberante va accostato al grande principe De Curtis, e Troisi, più mugugnone e titu-bante, a Peppino.

Troisi fu poi protagonista di Che ora è? (1989), incentrato sui rapporti conflittuali tra padre e figlio, con Mastroianni nei panni dei-padre. Nel 1990 collaborò per l'ultima volta con Scola nel film II viaggio di Capitan Fracassa, in cui recitò nel ruolo di Pulcinella.

L'ultima regia di Troisi, dove è anche sceneggiatore e protagonista, è quella di Pensavo fosse amore... invece era un calesse del 1991, con Francesca Neri e Marco Messeri. Un film dove si parla esclusivamente di amore. Troisi analizza i sentimenti della coppia moderna e le difficoltà di portare aventi un legame tra un uomo e una donna. Tommaso e Cecilia, si amano ma si lasciano ripetutamente per poi tornare insieme, ma in realtà si sentono troppo diversi per riuscire a sposarsi ed essere felici. Proprio quando sono sul punto di farlo, nelle ultime sequenze del film, lui non trova il coraggio di presentarsi i chiesa.

Infine IL POSTINO: le riprese cominciarono nell'autunno del 1993 a Pantelleria, poi proseguirono a Salina e si conclusero a Procida. Il film è ambientato tra il 1951 e il 1952, periodo in cui il poeta comunista Pablo Neruda visse in esilio in Italia, ma è ben poco fedele al romanzo di Skarmeta apportando molte modifiche alla storia e rivoluzionando completamente il finale.

Dopo la sua morte, IL POSTINO ottenne un grandissimo successo, sia in Italia sia negli Stati Uniti d'America, e fu candidato a cinque Premi Oscar.

Erede della tradizione partenopea ma capace di attualizzarla in maniera originale.

Massimo Troisi, fragile ed imperfetto fuoriclasse di altri tempi.

CAMBIA LA TUA VITA CON UN CLICK

New York. E' seriamente stressato dalla carriera e dal lavoro l'architetto Michael Newman (Adam Sandler), sposato alla dolce Donna (Kate Beckinsale) e padre di Ben e Samantha.

Almeno in casa vorrebbe quindi un pò di pace. Macchè, la tv non si accende.

Così, alla ricerca di un negozio, sbatte nel magazzino di un centro commerciale, dove il suadente Morty (Christopher Walken) gli regala un telecomando universale.

L'avviso è chiaro, però: occhio signore, non si accettano reclami.

Incredibile, il diabolico marchingegno può controllare il tempo e gli permette di andare avanti e indietro anche nella vita, permettendogli di accelerare le noiose scene con i genitori e i figli e saltare le litigate con la moglie.

Ah, che pacchia. Ma è proprio così?

CAMBIA LA TUA VITA CON UN CLICK è una quasi passabile commedia parafantastica, una corale favola ultramoderna che parte bene (la prima metà è molto divertente, anche se in pesante debito con RITORNO AL FUTURO), ma poi si impantana nella seconda parte.

Una storia che vorrebbe essere trasgressiva come lo strumento che il protagonista maneggia per portare la sua vita nella direzione voluta. Purtroppo, esaurito lo spunto iniziale, il film non decolla a causa di un ritmo troppo cadenzato, prevedibili banalità e umorismo grezzo.

Sempre bravo (ma che ci fa in un film del genere ?) Christopher Walken, che si limita al minimo sindacale.

Non si può dire che CAMBIA LA TUA VITA CON UN CLICK  sia un film raffinato, visto che il cane Schizzo è sessualmente assai irrequieto. Inoltre Adam Sandler è capace di montare sulla scrivania del capo (David Hasselhoff) per mollargli in faccia tre schiaffi. E un interminabile peto.

Kate Beckinsale, bellezza in rosa confetto, è deliziosa.

Pellicola consigliatissimo a i fan delle commedie americane e di Adam Sandler. Per tutti gli altri comunque si può vedere.

FACCIAMO FIESTA

Cuba. Lo scontroso giornalista part-time Marco (Gianmarco Tognazzi), appena mollato dalla fidanzata, e l'esuberante cameraman di tv private Sandro (Alessandro Gassman) sono giunti sull'isola per girare un documentario.

Mentre provano ad eseguire il compito assegnato dall'agenzia turistica fanno conoscenze ai Caraibi.

La bella cameriera di ristorante Consuelo (Lorena Forteza) li mette in contatto con l'invadente italiano Antonio (Blas Roca Rey), gran conoscitore di disinvolte ragazze locali (le famose jineteras nda) e pataccaro di prima categoria.

Non ci mette molto a prospettare ai due gonzi in trasferta un'affare colossale: l'acquisto di una splendida villa disabitata da trasformare in un mega ristorante.

Addio risparmi. Ma non ci fregherà cosi.

Alla fine la fortuna sarà che si trovano pur sempre sull'isola del sole e  dell'amore. Quasi quasi restiamo.

FACCIAMO FIESTA è una strascicata commedia social-sentimentale-pubblicitaria, in cui si ammirano magnifici panorami e si ascoltano banalità a piacere su sesso, lavoro e vacanze.

Il film cade piuttosto rapidamente in tutti i clichè del film tropical-vacanziero del genere e non basta la garbata interpretazione del cast a dipanare la cortina fumogena della superficialità.

Svolto nella scontata Cuba dei taxi americani Anni '50, dei falsissimi sorrisi autoctoni, dei canti popolari "spontanei" (vedi anche Faccio un salto all'Avana) e della spensieratezza di vivere (in un paese sotto dittatura sanguinaria).

I figli d'arte Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi, di nuovo insieme dopo UOMINI SENZA DONNE, attorniati da seducenti ragazze locali e dalla "ciclonica" Lorena Forteza, sono simpatici e poco più.

Inutile dire che i loro padri un film così leggero non l'avrebbero girato neanche a cachet decuplicato.

In FACCIAMO FIESTA non manca neanche il finale buonisticamente scontato.

SE SEI COSI TI DICO SI

Savelletri, Brindisi. Si è ritirato nel paese natio, a fare il cameriere nel ristorante "Al polpo del re" dell'ex moglie Marta (Iaia Forte), il depresso Piero Cicala.

Ora pochi lo riconoscono. Anche perchè ha perduto molti capelli, ma trent'anni prima, negli anni '80, aveva scalato la hit parade, vendendo un milione di copie della sua canzone "Io, te e il mare".

Sulle prime respinge un emissario Rai, giunto a proporgli per l'indomani (in sostituzione dei Ricchi e Poveri!) un'esibizione da Carlo Conti. Nella trasmissione a caccia meteore e vecchie glorie "I migliori anni".

Nientemeno che una trasmissione televisiva di prima serata che gli propone di riprendere in mano il microfono per una sera  per eseguire il suo brano.

Poi, spinto dai paesani e rinfrancato dalla parrucca dell'amico barbiere Gianni Cola, parte per Roma.

Tra trattative e ripensamenti. Vado o non vado?

Qui, nel lussuoso albergo in cui è ospitato per la notte, viene travolto dalle carezzevoli forme di Talita Cortès (Belen Rodriguez), top model e icona del momento, e dal suo seguito di assistenti e paparazzi.

È un caso a farli finire nella stessa camera. Infatti per sfuggire all'invadenza gossippara la diva si rifugia nella camera dello stranito ex cantante.

Il quale ovviamente sgrana gli occhi davanti alla bellezza della fanciulla, pronta a sfoderare il bel lato B.

Poi il sempre più confuso Cicala entra davvero nelle simpatie della diva, che vorrebbe portarlo con sé in America, l'indomani stesso.

SE SEI COSI TI DICO SI è una commedia imperniata sulla malinconia di un personaggio che, dopo un fugace successo, è precipitato nell'oblio personale e professionale.

Il regista Eugenio Cappuccio realizza un film vedibile che trova in Emilio Solfrizzi (LA TERRA) un interprete decisamente adeguato. Azzeccata appare anche la scelta della sexy Belen Rodriguez, mai così a suo agio nella parte.

Peccato che SE SEI COSI TI DICO SI,  riuscito nella prima parte, perda un po' quota nella seconda, in cui la sceneggiatura sembra un po' frettolosa.

IL BARBIERE DI RIO

Roma. Non è più allegro come un tempo il barbiere Matteo (Diego Abatantuono), traboccante di stress, con negozio a Campo de' Fiori.

La spocchiosa ex moglie Silvia (Margaret Mazzantini), oltre ad avergli mollato i due ragazzi, pretende alimenti sempre  più corposi.

Così un bel giorno, dopo aver tanto parlato del Brasile con il collega Ugo (Rocco Papaleo), prende e vola a Rio, dove da vent'anni vive la sorella maggiore Angelina (Renata Fronzi).

Scambiato per uno pieno di soldi, il giovanotto sta al gioco, anche perchè gli viene comodo per incantare la bella mulatta Giorgina (Zuleika Dos Santos).

Peccato che la ragazza sia fidanzata, anzi sia di "proprietà", del veramente poco raccomandabile nipote Rocco (Giuseppe Oristano).

Doppia trasvolata.

IL BARBIERE DI RIO è una gracilissima e, a tratti, pure noiosa commedia diretta da Giovanni Veronesi, abituale partner di Pieraccioni.

Il regista, utilizzando una sceneggiatura assolutamente minima, gironzola in un Brasile da dépliant turistico, in un paese che è noto unicamente per la disincantata (e talvolta stupida) voglia di divertirsi.

La grazia del Brasile è resa attraverso le curve delle mulatte sulle solite spiagge, la bossa nova, il Corcovado, il Pão de Açúcar, ecc.

Il tutto attraversato da una processione di pittoresche quanto inutili macchiette.

L'incontenibile Diego Abatantuono si sbraccia e strepita per tutto il film in un lessico portoghese di stampo biscardiano.

In effetti IL BARBIERE DI RIO è interamente basata sulle (grandi) capacità di intrattenitore del suo protagonista. Malgrado la presenza di Diego Abatantuono sia, come sempre,  debordante ed istrionica, non basta a risollevare il tutto.

Parti di contorno per Maurizio Di Francesco, Ugo Conti, Salerno (la triade di "italians" vacanzieri in Brasile nda). Del tutto inutile, anche per l'assurdo personaggio interpretato, la cantante Irene Grandi.

Film non del tutto riuscito ma per i fan di Diego è comunque da guardare.

40 GRADI ALL'OMBRA DEL LENZUOLO

Cinque episodi.

LA CAVALLONA. La focosa signora Emilia (Edwige Fenech), di rosso vestita, accetta con sempre maggior turbamento la corte di un insistente spasimante telefonico (Tomas Milian).

L'ATTIMO FUGGENTE. L'infoiato marito Filippo (Alberto Lionello) si traveste da autista con tanto di livrea e luccicante Rolls Royce per ritrovare la passione perduta con la bella moglie Esmeralda (Giovanna Ralli).

LA GUARDIA DEL CORPO. L'asfissiante gorilla Alex (Marty Feldman) si rivela un autentico angelo custode per la capricciosa ereditiera Marina (Dayle Haddon).

I SOLDI IN BOCCA. Lo sfacciato corriere di svalutate lire Salvatore (Enrico Montesano) con un colpo di genio seduce la bionda consorte (Barbara Bouchet) di un danaroso cliente.

UN POSTO TRANQUILLO. Il ragionier Serpetti (Aldo Maccione) salva Marinella (Sydne Rome) dal suicidio ma il suo cane geloso interrompe bruscamente il flirt.

40 GRADI ALL'OMBRA DEL LENZUOLO è una allegra e sexy commedia, ricca di cast ed ambientazioni. Un fritto misto di cinque barzellette piccanti e pruriginose condite con corna, tette e natiche.

Estremamente disuguale al suo interno, come spesso accadeva nei film a episodi che hanno segnato la commedia italiana, in particolare negli Anni Settanta.

Le cinque bellone del cast si spogliano tutte. Il minimo indispensabile la Ralli e la Rome, fortunatamente più generosamente Dayle Haddon, Barbara Bouchet e, soprattutto, Edwige Fenech.

Da segnalare l'inattesa interpretazione di un Tomas Milian irriconoscibile (parrucca ed occhiali a "fondo di bottiglia"), al vertice del trasformismo. Inoltre il suo episodio si avvale di una stupenda Edwige Fenech in reggicalze e tette al vento.

Presente come guest star l'allora in voga Marty Feldman. Lo stralunato attore dagli incredibili bulbi oculari e le mosse meccaniche nel suo episodio ricalca situazioni (e location) dell'analogo episodio sordiano in DI CHE SEGNO SEI?

Il più bravo in questo 40 GRADI ALL'OMBRA DEL LENZUOLO?

Probabilmente il sempre simpatico Enrico Montesano.

LA SIGNORA GIOCA BENE A SCOPA?

Parma. Il cocciuto Matteo Camagliulo (Carlo Giuffrè), napoletano trapiantato al Nord, lascia inevitabilmente al tavolo da poker i guadagni del suo negozio di scarpe.

Per la disperazione del socio in affari Peppino (Enzo Cannavale).

Inseguito dal pensiero degli assegni firmati a vuoto prende una storica decisione, trasformandosi in gigolò per signore ricche ed annoiate.

Come le allupate sorelle Monica (Franca Valeri), pittrice di nudi, e Giulia (Didi Perego), amante del sesso nelle stalle.

All'inizio tutto bene, poi l'attività si fa frenetica e il poveretto inizia inevitabilmente a perdere colpi.

Anche perchè nella casa si è aggiunta Eva (Edwige Fenech), di gran lunga la puledra più bella della scuderia. Pur se affetta da idromania (consuma rapporti solo in presenza di docce, vasche, acquazzoni... insomma getti o specchi d'acqua).

Niente di meglio per salvare capra e cavoli che alternarsi con il rachitico commesso Tonino (Carlo Delle Piane), insospettabilmente "ben fornito" a dispetto del fisico gracilino.

Questi è prontissimo a subentrare al padrone del negozio nell'alcova.

Purtroppo ultrarapido anche a soffiargli la più bella.

LA SIGNORA GIOCA BENE A SCOPA? è una commedia pseuderotica dai doppi sensi a raffica.

A partire dal raffinatissimo titolo.

Oltre il titolo allegorico, bisogna notare la presenza, sotto la direzione di Giuliano Carnimeo (MIA MOGLIE TORNA A SCUOLA), di un cast significativo composto da nomi di ottimi caratteristi (Giuffrè, Delle Piane, Gigi Ballista, Oreste Lionello, Enzo Cannavale e, soprattutto, Franca Valeri).

In sintesi LA SIGNORA GIOCA BENE A SCOPA? è un filmetto risibile con la presenza di eccellenti attori. Cose che capitavano negli Anni Settanta, quando per la pagnotta gente come Carlo Giuffrè, con la sua aria da gatto sornione, e  Franca Valeri partecipavano a pellicole del genere.

Il brutto e bravo Carlo Delle Piane deve accendere un cero a sant'Avati Pupi.

Senza di lui oggi sarebbe ancora incollato alla serratura di qualche camera da letto.

Come sempre bellissima la Fenech.

L'ARBITRO

Acireale. Si dispera la povera donna! Chi gliel'ha fatto fare di sposarsi con il celebre e rigido arbitro Carmelo Lo Cascio (Lando Buzzanca).

Fanatico della professione, per lui il calcio viene assai prima della famiglia e del lavoro. E del sesso, ovviamente.

Ma se la stazione di servizio, che peraltro intende trasformare in un motel, è molto ben avviata, la trascurata ma pur tornita moglie Laura (Gabriella Pallotta) minaccia di piantarlo.

Prescelto per dirigere il prestigioso derby d'Italia, ovvero Inter-Milan, l'incorruttibile giacchetta nera si reca a Milano.

Dopo la partitissima, conosce a un Liquid party, organizzato dall'industrialotto maneggione commendatore Armando La Forgia, l'affascinante giornalista Elena Sperani (Joan Collins).

Ci vuole poco a perdere la testa nella vita privata e la faccia sul campo da gioco.

Il poveretto finirà male.

L'ARBITRO è una farsa che fa vagamente il verso a Concetto Lo Bello da Siracusa, mitico principe degli arbitri negli anni Sessanta.

Il bravo Lando Buzzanca, sfodera senza tregua il suo folcloristico repertorio di smorfie, senza farsi mancare,en passant, una perorazione contro la moviola (la rovina del calcio) tuttora incredibilmente attualissima.

La diva Joan Collins appare sofisticata quanto basta ma dotato di quantità insufficiente di fascino ed erotismo.

Tra i commentatori nel ruolo di sé stessi, i telecronisti Bruno Pizzul e Nicolò Carosio.

Probabilmente non perfetta ma L'ARBITRO rimane una pellicola che è entrata nell'immaginario collettivo, nonché uno dei più stracult di Lando.

Da vedere almeno una volta.

GRANDI MAGAZZINI

Roma. Lo scrupoloso direttore (Michele Placido) dei Grandi Magazzini, appena arrivato in ufficio, si mette subito al lavoro.

Non immagina che in giornata avrà il suo bel daffare con la miopissima cliente Dolly (Heather Parisi), che ha perso le lenti a contatto.

E senza rendersene nemmeno conto finisce a gironzolare pericolosamente sul cornicione

I guai si moltiplicano quando il timido addetto alle toilette Evaristo (Enrico Montesano) è scambiato nientemeno per il figlio (Massimo Ciavarro) del proprietario, impiegato nel mega emporio sotto falso nome.

Quel furbone del capo del personale, Dottor Anzellotti (Alessandro Haber) gli infila nel letto la formosa ed ancora piacente moglie Elena (Laura Antonelli).

Mentre il facchino di lungo corso Fausto (Renato Pozzetto) perde la testa per un cliente gay.

GRANDI MAGAZZINI è una penosa ed interminabile commedia, che non fa ridere nemmeno per sbaglio, diretta dall'incorreggibile tandem Castellano e Pipolo, che tentano, invano, di ripetere l'esperimento di GRAND HOTEL EXCELSIOR.

Purtroppo mettono troppa carne al fuoco ottenendo un film frammentario, senza una vera storia da raccontare.

Nel supernegozio, sconsigliato anche nella stagione dei saldi, annaspa tra indegni siparietti il meglio del nostro cinema comico. Una sorta di sovrabbondante compendio della commedia italiana anni '80.

Con intermezzi demenziali tremendi (il montone rovesciato, la vespa).

Un monumentale cast sciupatissimo con rare eccezioni. Penosi i momenti con Villaggio e Gigi Reder (alla sua/loro ennesima sottofantozzata), e Lino Banfi. Simpatico Christian De Sica culturista tamarro. Orrido quello con la Parisi.

Si salvano la classe cristallina dei vecchi leoni Nino Manfredi e Paolo Panelli, per naturalezza e credibilità, e qualche decente tocco di Enrico Montesano. Sufficientemente divertenti anche Renato Pozzetto e Massimo Boldi.

La più saggia è la stella di prima grandezza del Fantastico televisivo, la temporanea attrice Heather Parisi. E' il suo primo ed unico film.

Devo ammettere che la sigla, pur brutta, rimane in testa (Grandi Magazzini, per grandi e per piccini...).

CULASTRISCE NOBILE VENEZIANO

Venezia. Vive una vita da sogno con la musica, i fiori e  il maggiordomo nella grande villa, il romantico marchese Luca Maria Sbrisson (Marcello Mastroianni).

Sempre accompagnato dalla desaparecida moglie Luisa, sparita durante un fortunale, presente in un grande quadro sulla parete.

Con la quale il visionario chiacchiera, cena e gioca addirittura a tennis.

E' pazzo o ci marcia, si chiede il timido organista Agostino Nebiolo (Lino Toffolo), capitato per caso e che il nobile elegge immediatamente ospite fisso visto le sue qualità musicali.

Lo scaltro musicista sta al gioco al punto che quando un gruppo di speculatori tenta di far interdire il matto, convoca a palazzo la bella squillo Nadia (Claudia Mori), identica alla gran signora del ritratto.

Superato il pericolo dei parenti, rimane l'incomodo della ragazza, che è diventata sempre più invadente.

Inoltre dopo un pò il protettore, il taciturno Sprint Boss (Adriano Celentano), reclama la sua dipendente.

Anche perchè la signorina è troppo burina per essere di sangue blu.

CULASTRISCE NOBILE VENEZIANO è una bislacca commedia surreale dichiaratamente scacciapensieri. Il regista Flavio Mogherini l'ha tratta, con ampie licenze, da una pièce di Maurizio Costanzo.

Accompagnando ai tre personaggi principali vaghi echi felliniani qui e là.

Ambientazione (villa palladiana veneta e scorci veneziani) parecchio suggestiva ed interessante, costumi e colori di ottimo livello.

Caratterizzazione del personaggio principale, nobile svagato e poetico, interpretato da un delizioso e disimpegnato Marcello Mastroianni, che sembra recitare al minimo dei giri, per quanto è bravo.

Molto simpatico e davvero in palla l'altro esponente della strana coppia, Lino Toffolo (quasi protagonista), qui più veneto che mai.

Se Adriano Celentano appare solo decorativo, quasi inutile, Claudia Mori è una perfetta finta attrice.

In sintesi questo CULASTRISCE NOBILE VENEZIANO è una di quelle pellicole che si può amare alla follia o detestare. In ogni caso è genialmente divertente.

GRAZIE... NONNA

Pisa. L'ingegner Pino Persichetti (Enrico Simonetti), industrialotto dei cristalli, apprende con profondo stupore e disappunto che dal lontano Venezuela è in arrivo la seconda, e sconosciuta, moglie di suo padre, defunto laggiù.

Vacci tu all'aeroporto, intima al primogenito Giorgio, che a sua volta scarica la scomoda incombenza sul fratello minore Carletto (Giusva Fioravanti).

Per poco non prendo un colpo al ragazzotto quando si trova davanti alla nonna Maria Juana (Edwige Fenech).

Altro che vecchia, la donna è una conturbante superbambola da leccarsi i baffi.

Inutile dire che i tre maschi della famiglia finiscono in piena tempesta ormonale.

A cui si aggiunge, a provare a finire nel suo letto, anche il precettore di latino del più piccolo, l'ingordo fra' Domenico (Gianfranco D'Angelo).

Per la disperazione della florida governante Celeste.

GRAZIE... NONNA è una commedia pseudoerotica del regista Sergio Martinelli, fortemente indebitata con i classici samperiani GRAZIE ZIA e MALIZIA, (da cui prende in prestito anche la scena madre), per le pruriginose situazioni casalinghe.

La pellicola si avvale di un paio di nudi della divina Edwige Fenech, in verità qui meno aggraziata del solito.

In GRAZIE... NONNA l'erotismo è blando e la storia è davvero difficile da digerire, dilungata com'è nei tempi e indebolita dai pessimi dialoghi.

Il turbato ragazzino che desidererebbe approfittare della nave scuola di classe è il futuro terrorista nero Giusva Fioravanti.

UOMINI SENZA DONNE

Roma. E' stato sfrattato l'aitante e facoltoso figlio di papà pubblicitario Alex (Alessandro Gassman), playboy a tempo pieno.

Che non esita a cornificare l'asfissiante collega-quasi fidanzata Paola (Alessandra Acciai).

Così si catapulta a casa dell'incasinato sassofonista Alex (Gianmarco Tognazzi), sbevazzatore indefesso nonostante l'ulcera, che delle donne ha invece una fifa blu.

Succede però che l'uno trova per la prima volta una porta chiusa, perchè la bella e indecisa Eleonora (Eleonora Ivone), lo tiene ostinatamente sulla corda.

L'altro, invece, s'infatua della graziosa e disinibita corista Anna (Veronica Logan) ma è pronto per fare retromarcia.

Tutto sommato, amico mio, meglio starsene tra di noi.

UOMINI SENZA DONNE è un agrodolce girotondo sentimentale, un film sulla sindrome di Peter Pan che colpisce due giovani adulti incapaci di rapportarsi correttamente con la propria vita e di coltivare relazioni interpersonali durature. Anche se le donne non sembrano messe meglio...

Nonostante la buona prova dei due protagonisti (davvero affiatati e spontanei), UOMINI SENZA DONNE si risolve purtroppo una raccolta di luoghi comuni, oltre che di una regia personale.

Regia del commediografo Angelo Longoni, improvvisatosi (e si vede) regista, per mettere in scena la sua stessa pièce.

Prova a movimentare il tutto, malgrado dialoghi rasoterra, la scoppiettante coppia di figli d'arte (Gassman/Tognazzi, rigorosamente JR) in cerca dell'occasione (in parte trovata, soprattutto a partire dal nuovo millennio) per sdoganarsi come buoni attori (quindi di togliersi di dosso l'onta della raccomandazione).

Anche si i rispettivi grandi padri restano lontani.

Piacevole la presenza (ci scappa pure il gradito nudo) di una carinissima Veronica Logan.

I FOBICI

Quattro episodi.

TURNO DI NOTTE

A mezzanotte in punto lo stralunato e biascicante Luca (Luca Laurenti) spegne la sveglia, saluta la mamma (tutte le notti...) e viaggia in autobus fino alle sei per fornire ai passeggeri della notte tutte le informazioni del caso.

Orari, tragitti e coincidenze dei mezzi pubblici. Un vero "aiutante notturno".

TUTTO 'N TIC

Di giorno fa il postino, la sera il cantante di piano bar il timido Andrea (Daniele Liotti), perseguitato dai suoi numerosi tic nervosi. Finchè l'amore sbocciato per Caterina (Sabrina Knaflitz) lo convince a curarsi.

Così i suoi guai raddoppiano.

HO CHIUSO IL GAS?

Al titubante Carlo (Gianmarco Tognazzi), in partenza per il viaggio a lungo sognato, viene il classico dubbio: avrò chiuso il gas?

Meglio rientrare. Allontanando la partenza.

FRUTTO PROIBITO

Il meccanico sempliciotto Alvaro (Rodolfo Laganà) ha occhi solo per il suo fuoristrada da sessanta milioni (di lire).

Si farà scappare una sconosciuta mitomane e ninfomane (Sabrina Ferilli).

I FOBICI è una strascicata commedia umoristica, perlomeno nelle intenzioni del regista, il carneade Giancarlo Scarchilli, che riesuma nel modo più banale, un'antica moda.

Quella, saggiamente abbandonata negli anni Ottanta, dei film a episodi. Nel caso variegato nelle intenzioni, piuttosto monocorde nella realizzazione.

I FOBICI mette in scena quattro episodi per altrettanti personaggi completamente in balia delle loro fobie, un campionario, non proprio centratissimo, di nevrotici contemporanei.

Se la vistosa e prorompente Sabrina Ferilli è sempre seducente, il (già) bravo Marco Giallini è sprecato come spalla.

Mentre Rodolfo Laganà è assolutamente simpatico.

IL SIGNOR QUINDICIPALLE

Toscana. L'asso del biliardo Cecco (Francesco Nuti) è marcato stretto dalle donne di famiglia che lo vorrebbero accasato.

Per liberarsi della morsa, si finge fidanzato della vistosa squillo, da un milione e mezzo (di lire) a botta, Sissi (Sabrina Ferilli), conosciuta per caso al cimitero.

Grazie alla congrua ricompensa, la signorina dalle accoglienti forme accetta per un giorno di farsi passare, davanti a sorella, mamma e nonna dell'inusuale cliente, per impiegata delle edizioni Paoline.

Conquistando in un baleno l'estasiato parentado. Inutile dire che il giovanotto non fa fatica ad innamorarsi della bella prostituta d'alto bordo.

Ma giunge l'ora del campionato del mondo di biliardo e il confuso giovanotto, capace di mandare in buca quindici palle in un colpo solo, torna ad allenarsi col severo Maestro (Novello Novelli).

Vincerà su entrambi i fronti.

IL SIGNOR QUINDICIPALLE è una fragilissima e quasi mai divertente commedia del recidivo Francesco Nuti, che rappresentò all'epoca il suo ritorno al cinema dopo alcuni anni di lontananza dal set.

Bisogna dire che per la terza volta ripete l'identico film (forse per mancanza di ispirazione), dando vita a una interpretazione stanca ed annoiata. Oserei dire triste.

Probabilmente confidando che la sua passionaccia per il biliardo contagiasse gli spettatori.



La radiosa Sabrina Ferilli, splendida in rosso acceso,  parla, saggiamente, il minimo indispensabile e non sfigura. Inoltre, per fortuna, si mostra con generosità con slip e décolletè.

Detto tutto questo IL SIGNOR QUINDICIPALLE non è proprio da buttare. E' fatto con una certa cura, lieve e con simpatiche facce.

In una parola: guardabile.

IO TIGRO, TU TIGRI, EGLI TIGRA

Tre episodi. Nella bella villa sul Lago Maggiore, il ricco Caminito (Cochi Ponzoni) assume il tuttofare Elia (Renato Pozzetto) per sbarazzarsi della "Belva", ossia la perfida consorte Annalisa (Angela Luce).

Il delitto perfetto fallisce ma l'odiata signora, fedifraga per di più, subirà una cocente punizione. Fino a quando non alzerà il velo...

Lo scrittorello di fantascienza Della Spigola (Paolo Villaggio) si accende per la bellissima moglie Carla (Nadia Cassini) solo dopo averla travestita da Regina Nera del pianeta Phobos. Finchè l'aliena a lungo invocata arriva sul serio. Il poveretto si ritroverà vittima di un singolare abduction.

Lo scalcinato bersagliere Roberto Micozzi (Enrico Montesano) si perde con un manipolo di commilitoni alle grandi manovre, con tanto di colonna corazzata. Finiranno per "invadere" il Canton Ticino, rischiando di provocare una guerra tra Italia e Svizzera.

IO TIGRO, TU TIGRI, EGLI TIGRA è una poco brillante e discontinua commedia a tre tempi, con gli stessi attori e la stessa formula del precedente TRE TIGRI CONTRO TRE TIGRI del'anno prima. Diretta dall'inedita coppia Giorgio Capitani-Renato Pozzetto che giocano sui paradossi e sulle gag surreali.

Probabilmente tirandola in lungo più del necessario e ottenendo un film che fa sorridere di tanto in tanto e ridere quasi mai.

Estremamente alterno l'episodio con Cochi e Renato (trovate geniale arricchite dal loro mitico nonsense e banalità scontate) carico della comicità surreale tipica delle produzioni settantiane del duo.

Pessimo quello con Paolo Villaggio nell'ennesima disavventura pseudo-fantozziana (ad esclusione del momento al semaforo), decisamente inguardabile.

Sufficientemente divertente (ad essere buoni) quello con un ruspante Enrico Montesano. Specialmente quando il protagonista romano parla ed assume espressioni analoghe a quelle dei marines dei film yankee.

Nadia Cassini e il suo leggendario lato-B si vedono troppo poco.

Bravi ma desolatamente a corto di battute decenti i quattro protagonisti maschili di questo IO TIGRO, TU TIGRI, EGLI TIGRA. Che però fa pensare a quell'Italia semplice degli anni '70.

LA VERGINE, IL TORO E IL CAPRICORNO

Roma. Lo speculatore edilizio milanese Gianni Ferretti (Alberto Lionello), architetto nonchè galletto si tiene in forma con corsetta e tennis. Oltre che con il vizietto di tradire la moglie con le amiche della stessa, in aggiunta a dattilografe e segretarie dell'azienda.

La piacente moglie Gioia (Edwige Fenech) per un pò soffre in silenzio ma gli resta fedele, finchè decide di vendicarsi.

Se ne va in vacanza ad Ischia e fa giungere al sempre più preoccupato maritino le false voci dei propri tradimenti. Fino a sedurre quaranta camionisti.

Corne in vista, dunque, per il disperato maritino.

Fatti fessi un paio di maturi spasimanti, tra cui lo spiantato barone Felice Spezzaferri (Aldo Maccione), casca davvero tra le braccia del biondo mantenuto Patrizio (Ray Lovelock).

E il consorte? Tutto bene, si consolerà presto.

LA VERGINE, IL TORO E IL CAPRICORNO è l'ennesima pruriginosa commedia pseudoerotica anni '70 diretta da Luciano Martino, fratello dello stakanovista del genere, il celebre Sergio.

Una semplice storiella piena di cosce e corna che poteva durare la metà e  che alle consuete divertite volgarità aggiunge un'aria da pochade borghese.

L'indiscutibile spettacolosa Edwige Fenech, mai così in "vista" (e non butto nemmeno la Tanzi...), rasenta la perfezione e si può gustare in abbondanza. Lei naviga con in vento in poppa, esibendosi nelle sue, ormai, leggendarie docce.

A mio parere solo nell'INSEGNANTE Edwige è apparsa cosi bella.

Bisogna ammettere che il cast di questo LA VERGINE, IL TORO E IL CAPRICORNO è davvero eccellente.

C'è un Alberto Lionello, che la fa da padrone per tutto il film, forse estremamente logorroico, oltre a comprimari del calibro di Mario Carotenuto, Riccardo Garrone, Lia Tanzi, Aldo Maccione e Tiberio Murgia (tanto per citarne alcuni).

Alvaro Vitali, relegato a fare il cameriere, compare pochissimo e si limita a diventare rosso in faccia ripetendo l'adagio "Che Bona-che Bona".

Come dargli torto.

IL MERLO MASCHIO

Verona. Il mediocre violoncellista Niccolò Vivaldi (Lando Buzzanca) si ritrova un nome e un cognome impegnativi per un musicista, e ancor più impegnativi per un Signor Nessuno, di cui neppure i colleghi ricordano.

Il poveruomo con il complesso d'inferiorità sogna un successo che non arriva mai e soffre in silenzio per non essere avanzato di un centimetro dall'ultima fila dell'orchesta dell'Arena.

E' un fallito, dicono in coro amici e colleghi.

Dispone però di una fortuna. E' sposato con la desiderabile Costanza (Laura Antonelli), un corpo parlante, dalle forme perfette.

Il marito va in estasi a fotografarla nuda e in tutte le posizioni, arrivando a distribuire le erotiche  istantanee proibite, prima al collega vicino, poi a un settimanale a luci rosse.

Nel desiderio che la visione della bellezza (nuda) della moglie suscita agli altri uomini scopre un antidoto alla sua mediocrità e una cura alla sua frustrazione.

Così diventa un crescendo con le sublimi forme della moglie da esporre in pubblico in ogni occasione!

Fino al gran giorno: senza veli alla prima dell'Arena.

IL MERLO MASCHIO è una commedia sexy dalla trama non banale diretta da Pasquale Festa Campanile, tanto maliziosa quanto bizzarra, a volte quasi ossessiva.

Tocca allo scatenatissimo e bravo Lando Buzzanca sostenere il ruolo del maschio virile, al vero alquanto imbranato, tra autoscatti e voyeurismi (in un'epoca ancora acerba) con brevi accenni alla psicanalisi.

Sostenuto da una Laura Antonelli (qua al massimo del suo splendore) e dal simpaticissimo Gianrico Tedeschi, in un ruolo da macchietta sopra le righe ed indimenticabile, l'attore riesce a farci sorridere, inondando per 90 minuti lo schermo di malinconica simpatia.

La bellissima ambientazione di una Verona priva di retorica romantica corrobora quel tono amaro e malinconico che si addice al finale pessimistico della vicenda.

LA POLIZIOTTA FA CARRIERA

Roma. La bellissima, tosta e risoluta Gianna Amicucci (Edwige Fenech), figlia di un modesto e rassegnato portinaio, a furia di leggere gialli si è messa in testa di fare la poliziotta.

Così potrà finalmente emulare le gesta dei suoi intrepidi eroi.

Per entrare nelle forze dell'ordine non basta però la determinazione, ci vuole anche una robusta spinta, leggi "italica" raccomandazione.

Indossati i panni del tutore dell'ordine, l'eccesso di zelo la mette però presto nei guai.

Prima svela l'adulterio del solito parlamentare zozzone, poi si fa sorprendere in un giro di squillo, dove si era infiltrata sotto copertura per stretti motivi di servizio.

Alla fine la verità trionfa: dopo un infinita serie di quiproquò, riuscirà a sventare un ricco giro di droga e arresterà il pluriricercato Borotalco (Riccardo Garrone).

Decorata al valor civile.

LA POLIZIOTTA FA CARRIERA è una stupidissima commedia pseudoerotica che mescola pecoreccio e poliziesco, in un'improbabile avventura della poliziotta più sexy del nostro cinema, piuttosto.

In pratica un evidente e goffo tentativo di sfruttare l’onda lunga del successo de LA POLIZIOTTA (è stato girato l'anno precedente ed interpretato da Mariangela Melato) buttandola, come si dice in gergo, in caciara.

Tutto s’involgarisce: dall'ambientazione al contesto sociologico.E doppi sensi sparati ad altezza uomo.


E' evidente che il regista Michele Massimo Tarantini cerca la via della farsa rispetto al collega Steno.

Nei panni della poliziotta c'è la polposa Fenech (simpaticamente improbabile come semi coatta romanesca), che è sempre un bel vedere, ed è il solo motivo, pruriginoso, per godere del film, visto che sta benissimo in divisa.

Senza ancora meglio.

TRAPPOLA PER UN LUPO

Francia. E' lo scanzonato animatore di una goliardica compagnia cui espone i suoi originali intendimenti sul mondo delle fanciulle, lo stracciamutande Paul Simay (Jean Paul Belmondo).

Questi, mettendo in pratica la sua visione del rapporto uomo-donna, si diverte a corteggiare donne racchissime (fare attenzione ra-, non ri-!).

E' grazie a un viaggio in Tunisia che conosce la bruttina e sottomessa Christine (Mia Farrow).

E' passato un'anno quando la rincontra in quel di Bordeaux: lui ormai è un medico e lei, piacevole sorpresa, è la figlia di un barone della medicina, dal cinismo almeno pari allo scatenato medico di provincia.

Nozze per interesse siano. Anche perchè la cognatina Martine (Laura Antonelli) è proprio bella. Io ci faccio qualche giro.

Guai in vista.

TRAPPOLA PER UN LUPO è una commedia nera con venature thriller abbastanza divertente e dal ritmo spigliato.

E' chiaro che per il regista Claude Chabrol c’è del marcio nella provincia borghese e francese: probabilmente non è una novità.

Film un po’ volgarotto, soprattutto all’inizio, con cattivo gusto sparso, mentre la parte finale (la telefonata, il piano diabolico dei due amanti, l'avvelenamento, le lastre), interessante ma forse un po’ frettolosa, ricorda i thriller, in auge all’epoca, a base di complotti familiari.

Fulgida Laura Antonelli mentre Belmondo sembra costantemente sopra le righe.

Indimenticabile, forse ancor più dell'Antonelli, Marlène Appelt, bellissima infermiera che, di fronte all'immobilizzato Belmondo, ostenta lunghissime gambe e si nutre di banane...

Vedibile.

LA PROFESSORESSA DI SCIENZE NATURALI

Sicilia. Esagera un pò in laboratorio con le sostanze chimiche la racchissima professoressa Mastrilli.

Buum! E si trova all'ospedale.
Che guaio per il Preside Giovanni. Niente paura arriva il consiglio giusto dal farmacista del paese..
La persona che fa al caso tuo è la professoressa Stefani Marini (Lilli Carati) avvenente e giovane insegnante appena laureata.

Al primo incarico prova a fare il suo lavoro ma la sua avvenenza  pruriginosa provoca scompiglio non solo tra gli indisciplinati alunni ma in tutto il paese.
LA PROFESSORESSA DI SCIENZE NATURALI è una grossolana commedia erotica apparentata al filone scolastico, con una Carati molto statica (non manca, comunque, la tradizionale doccia. In vasca da bagno, nel caso specifico).

Dopo averla vista in Di che segno sei? dell'anno precedente, il regista Michele Massimo Tarantini (LA LICEALE) ha il merito (intuitivo) di notare, nella genuina bellezza della Carati (all'epoca appena ventenne nda), che il suo fisico si presta bene a lanciare nel fervido panorama delle sexy commedie di italica fattura una nuova "impiegata": la Professoressa del titolo.

Il regista forse confida troppo sul potere ipnotico delle grazie, generosamente esposte, di Lilli Carati e qualche risatina la strappa, ma troppo spesso si cade nella grana grossa. In pratica molte situazioni solleticano la parte voyeuristica mentre rimane scarso il versante comico, probabilmente per la mancanza di un comico di razza.

Per gli affezionati del genere va sottolineato che Mario Carotenuto NON fa il preside (è il prete) e che Gianfranco D'Angelo NON fa l'insegnante (è il commesso della farmacia)!

Si arriva all'ora e mezzo rischiando spesso il colpo di sonno.