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SMILE

Stati Uniti, giorni nostri. Non è stata esattamente una bella giornata per la giovane psichiatra Rose Cotter (Sosie Bacon). Mentre era in servizio presso il reparto di emergenze, in cura da lei si era recata la giovane Laure, fortemente traumatizzata per aver assistito al violento suicidio del proprio insegnante.

La ragazza le aveva raccontato una storia di possessione demoniaca, con vivide allucinazioni, prima di uccidersi in maniera orribile.

Proprio davanti a lei, che nasconde un trauma di gioventù: ha assistito al suicidio della madre, senza intervenire in alcun modo e senza poi riuscire a perdonarsi per questo.

Nel racconto della moritura la premessa a un evento violento è sempre costituita da un sorriso diabolico ed inquietante, che compare sul volto di queste allucinazioni, e spinge verso la follia la vittima.

E l' inquieta dottoressa dovrà combattere contro i suoi demoni e un incubo senza fine.

SMILE è il lungometraggio d'esordio all'insegna del déjà vu dato che la trama e le atmosfere sinistre dell'horror in questione ricordano molto quelle del saccheggiato THE RING (si veda la scadenza dei giorni per le varie morti) e le sinistre Catene di Sant'Antonio di altri film simili. 

La discreta fattura messa in campo dal regista Parker Finn non compensa se non in parte la scarsa originalità, la prevedibilità di quasi tutti i vari jumpscare e una durata eccessiva.

Horror usa e getta.

LA SETTA

Usa, 1970. Non immagina neanche la comune hippy cosa possa accadergli quando appare quello che sembra un santone, tale Damon.

Il misterioso individuo cita i Rolling Stones e la loro Simpathy for the devil un po' come la setta di Manson negli stessi anni citava Helter Skelter dei Beatles.

E infine fa una sanguinosa fine lo spensierato gruppetto di biondi hippy che si era accampato lungo le sponde del lago e le sue acque tranquille.

I crudeli torturatori senza volto non hanno pietà neanche dei bambini

Francoforte, Germania, anni '80.

Ha quasi tirato sotto l' anziano passante la sventata maestrina Myriam (Kelly Curtis).

Mi chiamo Moebius Kelly (Herbert Lom), sussurra il misterioso investito, in possesso di un misterioso pacco.

E ti annuncio, in qualità di massimo sacerdote della Setta dei senza volto, che proprio tu sei stata prescelta a partorire l'anticristo vendicatore.

Ciò detto l'ospite, tosto ristabilito, scompare lasciando l'esterrefatta insegnante preda di sinistri dubbi.

Purtroppo per lei l'infausta profezia si avvererà, complice gli insetti fecondatori e un immondo uccellaccio sbucato da un pozzo.

LA SETTA è un farneticante e velleitario fumetto horror scritto e sceneggiato dallo stesso regista, Michele Soavi,  che prova a tramandare gli stilemi argentiani affrancandosi al contempo dal giogo del venerabile maestro, presente in combutta  in veste di autore e produttore.

Purtroppo per lui LA SETTA, molto valido per la prima ora, paga soprattutto una sceneggiatura incredibilmente delirante che è davvero difficile a credersi se non si è visto il film. Senza considerare il fatto che il tema della nascita demoniaca è sin troppo usurato.

Irritante per l'illogicita' dell'intreccio e imprudente nel continuo rimescolio delle carte in tavola, finisce per deludere anche la curiosità dei più forti di stomaco.

Gli altri hanno abbandonato la visione molto tempo prima.

Carina e fragile come vuole il ruolo è Kelly Curtis, sorella della ben più fascinosa Jamie Lee.

IL PATTO DEI LUPI

Gevadaun (Francia), 1764. Cosa sarà l'inafferrabile Bestia che sta facendo strage di donna e bambini nella regione?

Per la caccia alla Bestia non basta l'esercito, così il re Luigi XV spedisce sul posto il prode cavaliere Gregoire de Fronsac (Samuel Le Bilhan), sempre accompagnato dal suo amico di "sangue", l'indiano irochese Mani (Mark Dascacos), ottimo combattente.

Il nobile e libertino cavaliere, che non disdegna la frequentazione della casa di piacere dove esercita la sfolgorante Sylvia (Monica Bellucci), s'innamora della graziosa sua pari Marianne de Morangias.

Occhio al suo sanguigno fratello, Jean-Francois (Vincent Cassel).

IL PATTO DEI LUPI è, sulla falsariga di SLEEPY HOLLOW, una rielaborazione in chiave complottistico-gotica della vecchia leggenda della bestia di Gevaudan nella quale si mescola un po' di tutto: cappa e spada, arti marziali, nobili da feuilleton e qualche spruzzo di horror. 

Insomma un trascurabile guazzabuglio dall'idea di partenza interessante e dalla commistione di categorie filmiche (thriller, fantasy, action, sentimentale).
Il film è come la bestia: intrigante finché resta nell'ombra, quando infine viene alla luce si vede che è una patetica mascherata. 

Inoltre alcune trovate sono un pò bizzarre (come ad esempio il pellerossa che pratica il kung fu) ed è tirato inutilmente in lungo (il film dura oltre due ore, troppe per un film del genere), tra sfavillanti costumi e arredamenti sfarzosi.
Monica Bellucci? Come al solito: è bellissima.

THE BREED - LA RAZZA DEL MALE

Cinque amici, due ragazze e tre ragazzi, planano sullo specchio d'acqua antistante un' isoletta deserta per un rilassante party di fine settimana.

Il programma è semplice: sole, mare, margarita e (magari) sesso.

Il week end di svago trascorre fra divertimenti e giochi, ma alcune presenze inquietanti cominciano a terrorizzare i partecipanti.

Ben presto scopriranno che la loro rilassante vacanza estiva si sta trasformando in una sanguinosa battaglia per la sopravvivenza.

L'isola remota che pensavano disabitata è popolata da cani malvagi e geneticamente mutati, padroni del territorio e con uno spiccato istinto di uccidere.

THE BREED - LA RAZZA DEL MALE è un avvilente e scialbo horror, di una noia paurosa, che cerca di inserirsi nel filone degli animali assassini, sulla scia di esempi inarrivabili. Inutile aggiungere che gli esiti sono disastrosi.

Malgrado sia stato prodotto da Wes Craven, fra i maestri dell'horror, tutto è sciatto e prevedibile, complici una recitazione infima e una regia dilettantesca.

Livello attoriale sotto zero. I cani invece sono bravissimi e le due belle protagoniste, tra cui un'acerba ma già grintosamente sexy Michelle Rodriguez, meritano senz’altro un’occhiatina…

Suggestivi i paesaggi.Troppo poco.

LA NONA PORTA

New York. Voglio esser certo che questo prezioso volume del 1666, LE NOVE PORTE DEL REGNO DELLE TENEBRE, sia autentico.

Il ricco collezionista Boris Bulkan (Frank Langella) assume e spedisce l’esperto e cinico Dean Corso (Johnny Deep) in Europa a confrontare il suo libro con le altre due uniche copie esistenti.

Prima però il giovane è invano lusingato da Liana Telfer (Lena Olin), manesca, seducente e decisa vedova dell’uomo da cui il paperone aveva comprato l’opera: se me lo rendi ti pago bene.

Dopo aver incassato l’acconto in natura, il detective da biblioteca dice di no.

Il messo vola quindi a Toledo, a Lisbona e a Parigi, sempre pedinato da una bionda fanciulla se sembra disporre di magici poteri (Emmanuelle Seigner), mentre i cadaveri e i misteri si accumulano.

Qui c’è lo zampino di Satana.

LA NONA PORTA è un pretenzioso e monotono fantathriller ai confini dell’horror (demoniaco) che Roman Polanski dirige con la consueta eleganza.

Peccato che all’impeccabile confezione corrisponda un copione aggrovigliato e zeppo di buchi, avvincente solo nella prima mezz’ora con un inizio di ottimo livello.

Finale affrettato e assolutamente inadeguato.

Un plauso a un curioso Johnny Depp con la borsina a tracolla che fa finta di resistere agli assalti erotici e al fascino sexy-diabolico di Lena Olin.

PATIENT ZERO

Pianeta Terra, giorni nostri. Una pandemia globale senza precedenti ha ridotto l'umanità al lumicino ed è stata la causa per l'evoluzione di una nuova specie.

Una forma aggressiva della rabbia trasforma gli infetti in predatori, dediti alla violenza.

In una base sotterranea, un manipolo di sopravvissuti cerca di individuare il "paziente zero" per mettere a punto un vaccino.

La dottoressa Gina Rose (Natalie Dormer) si sbatte nella ricerca avvalendosi di un sopravvissuto, Morgan (Matt Smith), inspiegabilmente rimasto umano dopo i morsi e dotato della capacità di parlare la loro lingua.

Troverà Morgan il modo di trovare una cura per salvare la moglie infetta e l'umanità?

PATIENT ZERO è l'ennesimo horror simil-zombico da pochi centesimi.

Se l'inizio può essere considerato minimamente interessante perché delinea un psicologia degli infettati diversa dal solito, lo svolgimento della trama non è altrettanto originale.

Si scivola nel più banale trito e ritrito, perfino nel noioso, con gli ultimi venti minuti che si trasformano in un ridicolo dramma sentimentale.

Quanto al cast, la presenza di un attore del livello di Stanley Tucci come specchietto acchiappa citrulli aggrava la situazione, mettendo ancora più in risalto il dilettantismo dei colleghi.

PATIENT ZERO è da evitare come la peste.

IL QUARTO TIPO

Nome, Alaska. Una notte, lassù nella gelida terra, la giovane psicologa Abbey Tyler (Milla Jovovich), intravede il marito accoltellato a morte da quello che sembra un extraterrestre.

Il killer, presto dileguatosi, non ha aperto bocca, potrebbe essere quindi di Boston, come di Torino o di Sgurgola. Ma la donna, con la polizia, punta decisa il dito sullo spazio e dintorni.

Cercando di preservare la serenità dei suoi due bambini, continua a ricevere i pazienti più bisognosi di cure, come due tormentati dall'insonnia.

Che prima di chiudere brevemente gli occhi grazie all'ipnosi, le raccontano, scorgono lo stesso lugubre gufo bianco appollaiato sul davanzale.

Quando uno dei due stermina la famiglia, prima di suicidarsi, lo sceriffo (Will Patton) l'accusa: tutta colpa dell'ipnosi.

Ma i guai non sono ancora finiti, soprattutto per chi guarda, sballottato tra incubi, deliri e sequestratori giunti dallo spazio.

Gli incontri con gli alieni sono classificati in quattro tipi: il primo è l'avvistamento di un Ufo, il secondo è il reperimento di una prova, il terzo è il contatto diretto e il quarto è il rapimento.

IL QUARTO TIPO, immerso in un clima plumbeo e gelido, confuso e furbesco, vuole raccontarci di quest'ultimo genere di contatti e lo fa con una struttura narrativa particolare.

All'inizio, Milla Jovovich ci spiega che lei è un'attrice e nel film interpreta la dottoressa Abigail Tyler, detta Abbey, in una ricostruzione drammatica di fatti avvenuti nei primi giorni dell'ottobre del 2000 nella città di Nome in Alaska. Naturalmente, per proteggere la privacy delle persone coinvolte, i nomi sono stati cambiati.

Però, ci viene detto che qua e là il regista ha inserito del reale materiale d'archivio, girato dalla stessa Abbey. Ed è proprio la "vera" Abbey a comparire nella prima intervista, con il volto contratto e scavato, per cominciare a raccontare l'accaduto. Poi l'immagine di Milla Jovovich, perennemente attonita nell'occasione, le si sovrappone interpretandone la parte.

In definitiva però IL QUARTO TIPO è un'accozzaglia di finti spaventi, sospeso tra giallo, paranormale e horror, a cui lo sfrontato regista dal nome impronunciabile, Olatunde Osunsanmi, dal nome i tenta invano di dare una valenza scientifica. Aiutano invece gli ambienti claustrofobici e il particolare contesto naturale.

La domanda rimane: allora, gli alieni esistono davvero?

Le migliaia di libri e le decine di film sull'argomento non hanno sciolto i dubbi, anzi.

E chiaramente non lo fa questo film.

AMITYVILLE: IL RISVEGLIO

Long Island, giorni nostri. Quarant'anni dopo il drammatico eccidio della famiglia De Feo a opera di uno dei suoi componenti, la grande casa di Amityville viene abitata da un nuovo nucleo familiare, composto dalla mamma Joan (Jennifer Jason Leigh), dalla figlia grande Belle (Bella Thorne), dalla figlia piccola Juliet e dal fratello gemello di Belle, James, in stato vegetativo ormai da due anni.

Le tensioni in famiglia non mancano: Belle, con un passato scapestrato, si sente in colpa perché James si è ridotto così in seguito a un litigio con un ragazzo che aveva messo su internet delle foto osè di Belle. Joan, che ha perso il marito di cancro, ha dei rapporti pessimi con Belle e pensa solo a James, sottoponendolo a continue cure ed esami nella speranza (vana, secondo il medico) che torni come prima. Solo la piccola Juliet sembra esente da rancori e recriminazioni, ma soffre nel vedere così turbata la pace familiare.

Dopo alcuni accenni denigratori dei nuovi e, come da prassi, feroci compagni di scuola, Belle scopre che la casa dove la mamma li ha portati a vivere è proprio quella del massacro De Feo e ne è inorridita.

Affronta la mamma che minimizza dicendo che si tratta solo di una leggenda metropolitana. Le cose però non stanno proprio così, come Belle scopre ben presto.

Misteriosamente, infatti, James compie dei notevoli progressi. La mamma ne è entusiasta, ma Belle comincia a pensare che sia posseduto da un'entità malevola.

AMITYVILLE: IL RISVEGLIO è l'ennesimo tra gli innumerevoli spin-off/sequel della saga di Amityville, dalla struttura narrativa uguale a se stessa, e unico a uscire al cinema dai tempi del remake.

In tutta onestà possiamo dire che non se ne sentiva il bisogno, vista la storia trita e ritrita che nulla aggiunge a tutte le altre varianti già affrontate sul soggetto, nonostante il pretestuoso recupero dell'originale fatto di cronaca e i riferimenti metacinematografici al prototipo.

Certo, il filone è saturo e non c’è ampio margine di movimento, per cui le aspettative non possono essere alte.

Cosi procede blandamente e stancamente, senza colpi di scena, a causa di un plot stiracchiatissimo, come dimostrato da una durata che arriva a stento a 90 minuti, che rimesta una minestra totalmente insapore

Tra seguiti e remake, film apocrifi e laterali, la saga partita da Amityville Horror, basata, come spunto, su un vero fatto di cronaca, ha prodotto negli anni, dal 1979, anno del capostipite, un consistente numero di film, spesso modesti, ma capaci di interessare il pubblico interessato al genere.

SCAPPA - GET OUT

Chris (Daniel Kaluuya) e Rose (Allison Williams) sono una giovane ed assortita coppia: lui è nero come la notte (leggi afroamericano), lei è bianca come la luna (leggi caucasica).

E bianchi sono anche i genitori.

Quando arriva il giorno del fatidico incontro con i genitori di Rose, Chris è titubante ma Rose garantisce che per loro il fatto non comporta il minimo problema.

Ricchi, progressisti, liberal sono ben felici di conoscere il nuovo fidanzato della loro figliola nel week end...

Ma sotto l'apparenza di un'accoglienza dalla cortesia affettata, Chris avverte sempre più che qualcosa non torna.

All'inizio, Chris legge il comportamento eccessivamente accomodante della famiglia come nervoso tentativo di gestire la relazione interrazziale della figlia, ma con il passare del tempo, una serie di scoperte sempre più inquietanti lo portano a una verità che non avrebbe mai immaginato.

SCAPPA - GET OUT  è una riflessioni sulle discriminazioni razziali, al tramonto della pessima era Obama, quelle più insidiose che si celano dietro il perbenismo delle famiglie modello che votano democratico e lo fanno sapere.

Il film funziona anche e sopratutto come thriller, realizzato amalgamando bene pochi elementi e con un uso efficace di montaggio e un gruppo di validi attori, tra cui spicca la protagonista femminile.

L'atmosfera si carica di tensione sino a deflagrare in una parte finale grondante di emozioni (tralasciamo le improbabilità chirurgiche nda).

La pellicola, che comincia come una delle tante commedie rosa, ha il merito di aggiornare in chiave horror il sottofondo razzista che non è stato mai del tutto eradicato negli States (come nel resto del mondo).

La vicenda è narrata con acume, coinvolge lo spettatore senza ricorrere a spaventi facili o effettacci e non si prende troppo sul serio (l'amico del protagonista è lì proprio per stemperare).

Non male, dopotutto, questo SCAPPA - GET OUT.

LA SETTA DELLE TENEBRE

USA, giorni nostri. Nel bel mezzo di un'inchiesta su un gruppo di festaioli dark, la giornalista Sadie Blake (Lucy Liu) si rende conto che qualcosa supera il classico folklore.

Soprattutto avverte che c'è qualcosa di pericoloso nel bel Bishop, ma è solo quando si sveglia nell'obitorio della città che capisce il suo segreto: Bishop è un vampiro.

Sadie ha raggiunto i suoi sottoposti nel mondo sanguinolento dei non morti.

Desiderosa di vendetta, Sadie è determinata a fermare quel demone di Bishop e i suoi compari.

Cosi inizia a girare la città con arco e freccia e trova un'improbabile alleato nella sua crociata nel detective Rawlins (Michael Chiklis), un investigatore della polizia la cui figlia è stata trasformata anch'essa in una creatura notturna da Bishop.

Tuttavia per Sadie il problema principale, a quel punto, è la ricerca del sangue di cui nutrirsi.

Cosa non facile se non si vuole diventare cattivi e uccidere gli innocenti.

Sadie, indecisa tra il suicidio e la vendetta, tenta di fare il minor male possibile, anche se, quando le capita, il gusto del sangue le pare tutt'altro che spiacevole.

LA SETTE DELLE TENEBRE è, con le sue immagini laccate e televisive, un horror che non disturba, non inquieta e non fa paura. Insomma la solita storiella dei vampiri buoni contro quelli cattivi, debitrice (al limite del plagio) all'elegante e tenebroso UNDERWORLD.

L'affascinante Lucy Liu è bella, brava, agile e scattante, ma il suo impegno e qualche facile effetto truculento nulla può fare per rendere accettabile un film che proprio non riesce a generare un minimo d'interesse.

Grazie a una cultura di genere, sui vampiri sappiamo già tutto, le sequenze dunque si precedono e gli effetti di flashback non possono che risultare pleonastici, perché 'sta roba è già vista un milione di volte e la milionesima ed una non aggiunge nulla.

Privo del coraggio di spingere ancora più a fondo, LA SETTA DELLE TENEBRE resta sulla superficie, non riesce a coinvolgere lo spettatore fino in fondo in una storia che sembra inscenare l'ultimo dei giochini di un'altoborghesia annoiata.

Secondo me si può evitare tranquillamente.

L'ALBA DEI MORTI VIVENTI

Usa. La giovane infermiera Anna(Sarah Polley), dopo aver terminato un massacrante turno di notte, torna alla sua abitazione in periferia, che condivide col marito Luis.

Grazie allo scroscio dell'acqua di una doccia fatta insieme, non sentono un bollettino di emergenza del notiziario televisivo: un misterioso virus sta infettando la popolazione.

Il mattino seguente, Vivian, una ragazzina del quartiere, irrompe nella casa e assale il maritino. Spacciato! Purtroppo il defunto "ritorna" ed attacca la mogliettina, che riesce a fuggire attraverso la finestra del bagno.

L'intera città è nel caos e la donna tenta di scappare in macchina, ma si va a schiantare e perde i sensi.

Al suo risveglio, Anna incontra il sergente di polizia Kenneth Hall (Ving Rhames), il venditore di elettrodomestici Michael, il delinquentello Andre (Mekhi Phifer) e Luda, la sua consorte in dolce attesa.

La manciata di sopravvissuti intraprende una disperata battaglia all'ultimo sangue per rimanere vivi e umani, trovando rifugio in un fornito centro commerciale. Basterà?

La trama vi ricorda un vecchio film horror, di rara suspence e paura, magari scritto e diretto dal regista cult George Romero nel 1978, cui misero le mani anche Dario Argento e i Goblin?

Non vi sbagliate perchè questo L'ALBA DEI MORTI VIVENTI ne è l'esplicito e frenetico remake/omaggio, ambientato in chiave moderna (trent'anni dopo) e che aggiorna le tematiche politiche dell'America contemporanea (la pellicola è del 2004 nda).

Il regista (allora esordiente) Zack Snyder (300) evita di copiare pedissequamente il modello e fa bene poiché non poteva che uscirne con le ossa rotte, dal confronto. Manca l'acuta (e cupa) analisi social-consumistica e politica presente nell'originale di Romero, probabilmente perchè la pellicola non cerca messaggi ed è figlia di un altro tempo.

Se la cava costruendo un B Movie simile alla pellicola originale che non stona e mostra (come gli altri film apocalittici con epidemia, vedi 28 GIORNI DOPO di Danny Boyle) in modo esplicito scene splatter e di forte impatto (l'uccisione del neonato/zombie, per esempio) alternandole anche con dialoghi e scene ironiche.

Capolavoro? No. Buon film? Decisamente sì.

AUTOPSY

Grantham, Virginia. Sepolto nel seminterrato della casa di una famiglia brutalmente assassinata viene trovato anche il cadavere di una giovane donna. Nessuno sa chi sia e cosi, come da prassi negli Stati Uniti, viene chiamata genericamente Jane Doe.

L'esperto medico legale Tommy Tilden (Brian Cox), assistito dal figlio Austin (Emile Hirsch), è incaricato di eseguire l'autopsia della sconosciuta per individuare le cause della morte, che sono ignote. Il bianco corpo è in condizioni perfette, senza alcun segno evidente di ferite o traumi.

Molto, molto insolito.

Che cosa quindi ha ucciso la ragazza?

Mistero. Polsi e caviglie risultano fratturati, gli occhi grigi, la lingua recisa. Una mosca, inoltre, esce dal naso di Jane.

Mentre lavorano nella notte per ricostruire la causa della sua morte, i due uomini iniziano a scoprire i segreti inquietanti della sua vita. Presto, una serie di eventi terrificanti chiarirà: questa Jane Doe potrebbe non essere morta.

E intanto, fuori, è in arrivo una tempesta epocale.

AUTOPSY, diretto dal semi-sconosciuto regista norvegese André Øvredal, è un horror interessante, gelido ed inquietante.

Minimale per i pochissimi attori coinvolti e per lo spazio ristretto in cui è stato girato, visto che praticamente il film ha come unica location un obitorio

Ciò nonostante il risultato è dignitoso in quanto Øvredal riesce a infondere un clima di angoscia sferzante e perenne, tassello fondamentale e spesso sottostimato in un horror che si rispetti.

Tuttavia, il valore aggiunto è rappresentato dagli indizi disseminati nel cadavere i quali aumentano vertiginosamente il desiderio di conoscere dove essi conducano, creando tensione e curiosità crescenti.

Splendida la cura per la fotografia, in cui predominano tinte fredde virate al grigio/blu.

Bravissimi Emile Hirsch e Brian Cox, anche se la vera protagonista è lei, Jane Doe, che ha il volto serafico dell'attrice irlandese Olwen Catherine Kelly.

Godibile. Il film dico.

IL PASSO DEL DIAVOLO

Russia, febbraio 1959. Nove escursionisti russi capeggiati dal giovane Igor Djatlov si avventurano in una zona remota della catena degli Urali. Due settimane più tardi sono ritrovati morti nella neve. Quello che è successo veramente ai nove è un mistero che ha sconcertato gli investigatori e ricercatori per decenni.

Passato alla storia come l'incidente del Passo Dyatlov, la loro morte e il loro strano comportamento è stato spiegato con le teorie più varie, dagli incontri alieni alle cospirazioni governative, senza dimenticare le cause soprannaturali.

Anche se nessuno è stato in grado di spiegare adeguatamente quale "irresistibile forza sconosciuta" avrebbe spinto escursionisti esperti ad abbandonare, nel buio della notte e a 30 gradi sotto zero, le loro tende in maniera frenetica, strappandole dall'interno; o per quale ragione i loro corpi vennero esposti a una tale intensità di radiazioni rilevabili fino a settimane più tardi.

E nessuno sa spiegarsi, infine, come mai i loro corpi furono ritrovati a centinaia di metri dal loro accampamento, quasi svestiti, con lesioni interne, costole rotte e teschi fratturati, ma senza ferite esterne. E, stranezza nella stranezza, scalzi.

Alla giovane donna mancava la lingua.

2012. Cinque ambiziosi studenti universitari americani sono decisi ad utilizzare una borsa di studio per girare un documentario arrivando sul luogo degli eventi, nella convinzione che possano ricostruire e documentare, con l'onnipresente telecamera, la verità sul mistero di Passo Dyatlov, smentendo o i razionalisti o i cospirazionisti.

Ma quello che trovano è più scioccante di quello che avrebbero mai potuto immaginare. Il loro viaggio attraverso la neve e il ghiaccio degli Urali, ripercorrendo le tappe di quello sfortunato viaggio, è afflitta da strani e sempre più terrificanti fenomeni, i quali suggeriscono che, nonostante l'ambiente desolato, non sono soli.

Le forze che stanno dietro l'incidente del Passo Djatlov sono stati in attesa per loro.

IL PASSO DEL DIAVOLO (The Dyatlov Pass Incident) è un altro esempio di come mischiare la realtà con la finzione, realizzando una pellicola dall'impianto narrativo, i cinque studentelli americani alla conquista degli Urali e quello che fronteggeranno, infantile e sviluppato con la stessa credibilità delle promesse di democrazia di un comunista.

Come mockumentary (il falso documentario, nel caso specifico sul misterioso fatto di cronaca del 2 febbraio 1959) compendia il peggio del genere, banalizzato da dialoghi e sussulti sciocchi e portato in scena da attori anonimi e spesso sopra le righe.

Quel che colpisce è la miopìa della produzione: con l’occhio destro non vedono di aver per le mani un soggetto per nulla misero e lo sviliscono con i peggiori e urticanti espedienti.

Con il sinistro non si accorgono di aver messo troppa carne al fuoco, facendo annusare allo spettatore numerosi misteri e averne poi risolti forse la metà.

Non è la soluzione ideale. Peccato.

VISIONS

Usa. Prova a lasciare dietro di sé lo stile di vita frenetico della città e un brutto (e mortale) incidente stradale, la futura madre Eveleigh (Isla Fisher) e, insieme al marito David, si trasferisce in una bella casa immersa tra i vigneti.

La signora in dolce attesa, giusto il tempo di qualche giro nella tenuta agricola, che subito inizia ad avvertire terrificanti rumori, oltre che ad essere tormentata da spaventose visioni.

Come da prassi nessun altro sente o vede questi fenomeni paranormali, nemmeno l'innamorato partner, che chiaramente appare sempre più preoccupato per il benessere della mogliettina.

Ormai disperata e determinata a dimostrare la sua sanità mentale, Eveleigh inizia ad indagare tra gli abitanti del posto, scoprendo dettagli paurosi e vecchie storie sulla casa in cui ora risiede.

Ma quando i pezzi si uniscono, la risposta è molto diversa, e più pericolosa per lei e per il suo bambino, di quanto abbia mai immaginato. . .

VISIONS è un horrorino innocuo e abbastanza scontato che orbita sul cliché del trasferimento in campagna di una giovane coppia, qui in dolce attesa, tra nuovi vicini dalle abitudine poco chiare e una casa dal passato oscuro.

Al solito il film si basa sullo scetticismo imperante di tutti (nessuno escluso) i personaggi restanti, accerchiando la protagonista e infilandola in un alone di pazzia.

A parte qualche spavento telefonato, la pellicola scorre in maniera piuttosto piatta fino a una conclusione che almeno cerca di ribaltare le aspettative.

Probabilmente riuscendoci.

THE GREEN INFERNO

New York. Ha sempre vissuto nella bambagia l'universitaria Justine (Lorenza Izzo), figlia di un importante funzionario dell'ONU: per uscire un pò dalla routine perchè non unirsi alla manfrina ecologista di quel gruppo di fricchettoni che manifesta con tanto impegno davanti casa?

Parte così alla volta di un area incontaminata del Perù con un folto gruppo di suoi coetanei ecoattivisti di città: l'area da raggiungere è minacciata dalle mire espansionistiche di una multinazionale che si sta muovendo indisturbata con il supporto di una milizia privata senza scrupoli.

Ruspe e proiettili sono le armi per sopraffare popolazioni indifese e invisibili agli occhi dell'opinione pubblica distratta e/o indifferente.

Il carismatico capetto dello sgangherato gruppo ha pianificato un'incursione per impedire che anche quel pezzo di terra finisca nelle mani degli spietati capitalisti globalizzatori. Nello specifico è necessario strisciare nel campo nemico e filmare con gli smartphone quello che sta accadendo per diffonderlo in diretta streaming, in modo da suscitare l'indignazione dell'opinone pubblica mondiale e un'azione concreta da parte delle istituzioni internazionali.

Terminata con apparente successo l'azione di protesta, nel volo di ritorno, un malfunzionamento fa precipitare gli ecologisti della domenica in mezzo a quella foresta che vogliono proteggere, proprio nelle braccia di una tribù di cannibali di rosso dipinti che non vedono di buon occhio i bianchi.

Ohibò, è già ora di cena.

Con THE GREEN INFERNO Eli Roth (quarta regia) fa a pezzi (è il caso di dirlo) l'ipocrita perbenismo di certi idealisti rivoluzionari dando fondo a tutto il suo campionario divertito di horror macabro.

Amante degli effetti poco rassicuranti provocati dall'essere lontani da casa (meglio se in altri stati) e delle ipocrisie di chi si culla in sogni intellettuali cosmopoliti senza sapere in realtà nulla dei luoghi che frequenta, per il suo ritorno alla regia il regista ripropone tutti i suoi temi tipici, unendoli con quella che dichiara da sempre essere la madre della fonte d'ispirazione: Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato (1980).

Purtroppo le disgrazie dei nostri eroi vengono filmate dal regista senza un minimo di pathos e con partecipazione emotiva e senso della tensione vicine allo zero.

Aggiungiamo poi che effetti speciali risibili (le formiche), la mancanza di una vera spremuta di sangue e personaggi antipatici e tediosi fanno sì che il film risulti mediocre.

Non si può fare a meno di notare come il livello sia sceso di molto rispetto a pellicole come HOSTEL o CABIN FEVER.

Un aspetto positivo c'è: le splendide ambientazioni selvagge.

THE LAZARUS EFFECT

California. E' a capo di un progetto di ricerca denominato Lazarus il dottor Frank Walton, affiancato dalla compagna Zoe (Olivia Wilde) e dai giovani assistenti Clay e Niko.

Lo scopo della ricerca è quello di migliorare l'attività cerebrale dei pazienti in coma, ma, come scopre anche la giovane studentessa Eva, unitasi al gruppo con lo scopo di filmarne gli esperimenti, i risultati sono stati sorprendentemente ben superiori alle aspettative.

Infatti, il pugno di ricercatori ha creato un particolare siero e tenta un esperimento senza precedenti: giocare a fare Dio riportando in vita Rocky, un cane.

Il tentativo riesce: il botolo torna in vita e a prima vista sembra normale, ma non tutto fila liscio.

Purtroppo il preside dell'Università scopre la deriva presa dall'esperimento e all'improvviso tutto il materiale del progetto viene confiscato e il team è esautorato.

Proprio mentre erano sul punto di svelare la rivoluzionaria svolta al mondo, sono rimasti senza nulla che provi la riuscita del loro esperimento. Perchè non riprovare con un altro cane fino a quando abbiamo a disposizione il laboratorio?

Le cose però vanno male e accidentalmente Zoe prende una schicchera elettrica mortale.

Frank si ritrova di fronte a un terribile dilemma: usare o no sulla sua fidanzata il siero e riportarla in vita?

THE LAZARUS EFFECT è un debole horror che nonostante discreti momenti di tensione presenta una sceneggiatura pasticciata, la staticità della monolocation (le tre stanze del laboratorio nel quale si svolgono gli esperimenti), scarsa originalità e vuoti narrativi che pesano come macigni sul giudizio finale.

Il tema è affascinante e la domanda non è nuova (l'horror ci gioca da tempo): avendone la possibilità, è giusto riportare in vita una persona cara? E con quali conseguenze?

E dire che la parte iniziale non è nemmeno così pessima, tra dialoghi scientifici tutto sommato udibili e una certa cura riposta nella fotografia. Peccato che il tutto venga sciupato da un finale ridicolo e dal mancato approfondimento della questione etico - religiosa.

Discreta la fotografia. Il momento visivamente più accattivante è l'incubo che tormenta Olivia Wilde (in top aderente).

Attenzione al finale: temo lasci presagire un sequel.



EXTINCTION - SOPRAVVISSUTI

Per nove anni, Patrick (Matthew Fox), Jack (Jeffrey Donovan) e sua figlia Lu (Quinn McColgan) sono sopravvissuti all'epidemia che ha sconvolto l'umanità, trasformando gli esseri umani in creature infette affamate di carne, e a una mini era glaciale poi rinchiudendosi nell'innevata città di Harmony, con discreti confort.

I mutanti sembrano apparentemente scomparsi, non si hanno tracce di sopravvissuti, ma la paura dell'ignoto è costante per questa famiglia di fortuna.

Gli attriti tra Jack e Patrick crescono sempre di più, ma quando un giorno Patrick, alla ricerca di cibo, scopre che non solo i non morti sono tornati ma che si sono evoluti in qualcosa di terrificante, oltre ogni immaginazione, dovranno mettere da parte le loro ostilità per proteggere la piccola Lu.

Sarà l'ultimo respiro della razza umana o riusciranno a sopravvivere a una seconda apocalisse zombie?

EXTINCTION - SOPRAVVISSUTI è uno "zombie movie" mixato con i surgelati alla maniera di THE DAY AFTER TOMORROW in compagnia (si fa per dire) di un ex amico/congiunto e di una bambina insopportabile.

Tutto procede in modo decisamente prevedibile, anche se la seconda parte, con l'entrata in scena di mostri di tutto rispetto (assomigliano agli omarini bianchi e viscidosi di DESCENT...) , è molto meglio della prima e sviluppa almeno un pò di tensione.

Buono l’incipit sugli autobus e gli effetti speciali sembrano ben fatti.

Consigliato agli stretti cultori del genere.

CON GLI OCCHI DELL'ASSASSINO

Spagna. Nella cantina la giovane cieca Sara, che vive da sola ed è inesorabilmente condannata da una malattia agli occhi, sale sulla sedia sotto cui pende un cappio e medita inquieta, al contrario di qualcuno nell’ombra che con un risoluto calcione risolve per sempre i suoi dubbi.

L'affermata sorella astrofisica Julia (Belén Rueda) arriva per funerale con il marito psicologo Isaac.
La polizia ritiene che si tratti di suicidio ma la signora non è convinta: come mai nello stereo c’è una canzone che mia sorella detestava?

THE COLONY

Terra, 2045, qualche anno dopo l'alba del giorno dopo. Una glaciazione planetaria ha decimato il genere umano: l'umanità aveva costruito torri meteorologiche che controllavano il clima per evitare il surriscaldamento globale.

Un giorno queste macchine hanno smesso di funzionare, ha cominciato a nevicare e da quel giorno la Terra è diventato un pianeta freddo e senza vita. Ciò che rimane dell'umanità vive rintanata in bunker sotterranei per fuggire dal freddo estremo che c'è fuori, cercando di sopravvivere alle malattie e di produrre cibo sufficiente.

ATM - TRAPPOLA MORTALE

Notte di Natale. Hanno lasciato la festa aziendale per tornare a casa insieme per il loro improvvisato primo appuntamento, i bancari David e la graziosa Emily (Alice Eve).

Purtroppo, come il classico dei guastafeste, si è unito alla coppia il loro collega Corey, che inoltre chiede di fermarsi a un bancomat per ritirare dei soldi.

All'improvviso, fuori dalla cabina in cui stanno provando a fare il prelievo, compare un uomo imbaccuccato in un eskimo subpolare che, immobile, li guarda a distanza. 

Le intenzioni dell'inquietante figura diventano chiare quando vedono uccidere a sangue freddo una persona che porta a passeggio il proprio cane.

Quello che dovrebbe essere una transazione di routine si trasforma in una disperata e feroce lotta per la sopravvivenza. 

Di notte e alle rigide temperature di dicembre, bloccati dietro alla vetrata del piccolo e claustrofobico ambiente, David, Corey ed Emily cercano di sfuggire ai continui attacchi dello sconosciuto psicopatico in eskimo.

L'obiettivo è arrivare al sorgere del sole per avere salva la vita.

Non sarà facile per i tre bamboccioni.
 
ATM - TRAPPOLA MORTALE  è un horror che, malgrado lo spunto iniziale tutto sommato non malvagio, non convince appieno visto che la logica viene continuamente presa a sberle (chi si sognerebbe di lasciare il cellulare in macchina?) e il livello di gore è casto e censurato.

Ciononostante ha una buona escalation claustrofobica e i brividi non mancano.

Dirigere un film in un unico ambiente e con pochi attori, è un banco di prova duro per tanti registi: lo è per quelli esperti, figuriamoci per un esordiente come David Brooks.

Pur ammettendo che la progressione "drammaturgica" dei fatti è abbastanza prevedibile sotto molti aspetti (ad esempio quando si iniziano a dare l'un l'altro la colpa dei fatti nda) la vicenda avvince e non può fare a meno di tenere alta l'attenzione dello spettatore come succede con i film girati in un luogo chiuso.

L'interpretazione migliore sembra però quella del killer. Agghindato manco stesse tra i ghiacci, non pronuncia neanche una sillaba e non viene mai inquadrato in viso in tutti gli 88 minuti di film.