HEAT - LA SFIDA

Los Angeles. Il professionista del crimine (specialità della casa: rapine) Neil McCauley (Robert De Niro), che rispetta la competenza delinquente e l'amicizia virile, a capo di una piccola ma selezionata banda, sta arricchendo la lunga carriera con un colpo clamoroso: l'assalto a un furgone blindato ben fornito.

Purtroppo il solito componente folle ammazza, senza motivo plausibile e a sangue freddo, due guardie, obbligando il capo a farlo fuori (una cosa è la rapina, un'altra è l'omicidio).

Allo stesso tempo tempo però il nevrotico tenente Vincent Hanna (Al Pacino) è chiamato a scatenare l'instancabile caccia. Il poliziotto è un uomo logoro, infelice nella vita privata, che rispetta la professionalità, non ammette la sconfitta, è insofferente: “Comprensione? L'abbiamo finita ieri. Oggi non abbiamo tempo”.

Mentre il piedipiatti scarica la terza moglie Justine (Diane Venora), il gangster si innamora della bella grafica Eady (Amy Brenneman). Non intende tornare in prigione mai più e pur se intende compiere un ultimo colpo decisivo prima di ritirarsi dal crimine per andare lontano insieme con la ragazza di cui s'é innamorato, ha un saldo principio: “Non far entrare nella tua vita niente da cui tu non possa sganciarti in trenta secondi netti”

È il confronto tra due professionisti. Il professionista del crimine, è la preda; il poliziotto, professionista nella lotta contro il crimine, è il cacciatore. Per entrambi la professione è una vocazione, quasi un'ossessione. Cacciatore e lepre si incontrano alla tavola calda: ricordati il settimo comandamento. Le ultime parole famose.

Purtroppo il tirapiedi Chris Shiherlis (Val Kilmer) perde la testa per le infedeltà della bionda consorte Charlene (Ashley Judd) e la faccenda , anche per via di uno spione, si complica.

HEAT - LA SFIDA è un poliziesco/action metropolitano (strutturato come un western) ambizioso e struggente, logorroico e romantico, fascinoso e coinvolgente, che circoscrive l'azione (ma la rapina iniziale è fantastica per ritmo e montaggio) per indugiare sulla descrizione dei caratteri dei personaggi e del loro ambiente familiare, che è notevole.

Diretto dal regista Michael Mann, con un cast di lusso, rimane un film assai personale e, nel suo genere, uno dei più intensi del decennio nel suo rischioso equilibrio tra azione e scavo psicologico.
Inevitabile per lo spettatore il confronto tra i grandi istrioni italoamericani, per la seconda volta insieme ( erano stati insieme nel cast del Padrino - Parte II di Francis Ford Coppola, ma senza mai incontrarsi nella stessa scena), un De Niro asciutto, sotto le righe, e Al Pacino, teatrale, sopra le righe.

Tutt'e due, in momenti differenti dei Sessanta, hanno studiato recitazione ai mitici Studios, ricavando dallo stesso maestro insegnamenti opposti: lo stile d'interpretazione di De Niro è tutto interiore, minimalista, profondo; quello di Pacino è tutto esteriore, gridato, furente.

Stabilire quale dei due sia più bravo è questione di gusti: io me li incarto e porto a casa con gusto entrambi.

Stavolta, durante le due ore e tre quarti di Heat, sono uno accanto all'altro unicamente in un paio di scene cruciali: un incontro al caffè (quasi un omaggio alle loro carriere nda) in cui criminale e poliziotto debbono riconoscersi simili nella malinconia di vite perdute e nella contemplazione sfiduciata del mondo, facce differenti d'un analogo destino di morte, paure, violenze, inseguimenti, solitudine; e il duello finale nel quale uno soltanto può restare vivo ed è molto difficile digerire che uno dei due perda.

Molto interessante l'uso del suono nella scena iniziale dell'assalto al furgone: tutto avviene in un silenzio rotto appena da rumori funzionali, senza musiche invadenti, senza parole né dilatazioni sonore.

Questa inconsueta afonia dà alle operazioni criminali e poliziesche il senso d'una efficienza veloce, sicura, e insieme la solennità del rito che più si ripete nelle nostre metropoli (non con la stessa grazia recitativa, purtroppo).