MIRACOLO A S.ANNA

"Nel tempo dell'inganno dire la verità è un atto rivoluzionario"
George Orwell


New York anni ottanta. Lo sportello delle Poste è tenuto aperto da un impiegato di colore non di primo pelo. "Dei francobolli, grazie". Spara. L'impiegato, non lo sportello.

A un passo dalla sua "LA 25ª ORA" (la pensione) "Fà la cosa giusta". E la polizia (cameo di John Turturro) a chiedersi se questo arrugginito impiegato, valido combattente della seconda guerra mondiale, addirittura portatore sano di una "Purple Hearth" (una medaglia al valore, per le femmine e i cantanti nda), si fosse fatto come un CLOCKERS.
E adesso che abbiamo dato sfoggio della nostra conoscenza della filmografia del regista afroamericano Spike Lee possiamo passare alle cose serie.

L'A.N.P.I. , l'associazione custode della sacra vulgata resistenziale, che è qualcosa di molto vicino ad un cadavere in avanzato stato di decomposizione, per limiti di età, se non altro, avrebbe fatto meglio a leggere prima di parlare.
A leggere quello che, con asciutte righe apparse all'inizio, il buon Spaik, icona della cinefilia "democratica" planetaria, mette bene in chiaro dall'inizio.
Quelle righe che indicano chiaramente che si tratta di una "fictional story", tratta da un romanzo omonimo di James Mc Bride.
Anche se le stesse righe ci dicono che il regista di "Miracolo a S. Anna" può vedere la strage di S.Anna di Stazzema (Lucca) (purtroppo tutto vero. Qui Mc Bride non si è inventato niente) del 12 agosto 1944, dove 560 civili inermi furono trucidati dalla XVI divisione germanica in ritirata distruttiva, con gli occhi dell'americano di pelle scura, che si può permettere sincerità precluse ad un regista di pelle bianca e soprattutto vietate ad un bianco italiano.
Perchè, stupendosi come se gli americani fossero rimasti ai tempi di Rossella O'Hara, il buon Spike ha dovuto affrontare le grida di rabbia ed odio di quell'antifascismo strumentale, quel simulacro logoro tenuto artificiosamente in vita per poter giustificare la costante presa invasiva sulla nostra società. Quello che negli anni, nel nostro paese, è diventata una professione a tempo pieno ben remunerata, categoria "reducismo resistenziale". Una vera è propria religione di Stato, con i suoi sacerdoti e tutta una sua liturgia da seguire, con tanto di messaggio salvifico: segui i precetti partigiani, fai professione di fede e avrai vita politica garantita in eterno.
Povero e ingenuo Spaike! Fa quasi tenerezza. Lui parlava di "fictional story". Comunque si sa che i romanzi, come i film, si scrivono perchè essendo storie immaginarie, permettono di dire la verità.
E adesso torniamo allo sparatore. E indietro tutta con i flash-back: il coetaneo italo-americano a cui il valoroso ex-soldato a sparato con una Luger germanica (simbolismo) aveva della ruggine con lui, risalente ai tempi della guerra.
Nella Toscana del 1944, presa in mezzo dagli scontri tra alleati e nazisti, una pattuglia di soldati americani della divisione Buffalo (composta da ragazzi di colore) si trova dispersa oltre le linee nemiche. Colpa degli inetti e razzisti ufficiali bianchi (che vengono dipinti peggio dei germanici).
I 4 sono di pelle scura e, come tutta la divisione, considerati "carne da cannone". Visto che si trovano nei pasticci per colpa loro (uno di essi, grande e grosso e bonaccione,si è anche attardato per salvare un bambino toscano di sette anni sette) che se la cavino da soli.
Il gruppetto, mentre tutto intorno si spara allegramente (si sa! i militari non sono per niente civili) trovano rifugio in un paesino delle Alpi Apuane, dove potranno familiarizzare con un pò di italiani, dal notabile fascista (l'unico fascista in scena è vecchio e rincoglionito nda) e la figlia, dal partigiano coraggioso e dilaniato dai sensi di colpa a quello traditore.
Non durerà molto perchè i tedeschi arriveranno in forze.
Vengono mescolate, in circa 2 ore e mezzo (forse un pò troppo), eccidi, guerra, arte e un certa aurea di misticismo (che francamente, ho fatto fatica a comprendere). Spaziando tra le nostre Alpi, nella parte centrale, New York (all'inizio) e puntatina finale su una splendida spiaggia di Nassau (Bahamas) per la chiusura. Le due "debolezze" che definisco di sapore "hollywoodiano", in contrasto con le italiche cose. Per carità non momenti fracassoni o simili, da film americano, insomma.
Nel cast ha trovato posto anche il nostro, tra gli altri, Pierfrancesco Favino (il partigiano Peppi), Omero Antonutti (il vecchi fascista) e Valentina Cervi (la figlia del fascista), gradevolmente presente a seno nudo e, in maniera antistorica (ma quante volte ve lo deve dire Spaike che trattasi di "fictional story"??) con scarpe a incrocio sul davanti. Tacco sette. Credo (non ne sono sicuro ma sono scusato: io guardavo il seno). Antistorico ma sexy. La mise non il seno.



L' A.N.P.I. dicevamo. L'attentato di lesa Resistenza e per la figura del partigiano "Grande Farfalla", mandante morale della strage. E questo è il punto cruciale: Spike ha detto quello che anche i sassi delle montagne sapevano. Cioè che i partigiani, malgrado conoscessero le direttive della famigerata "Legge Kesselring" (per ogni soldato germanico morto, dieci civili uccisi per rappresaglia), se ne fregavano. Tendevano degli agguati e poi via, a nascondersi sulle montagne. Cose che per i civili era una vera iattura: scatenavano le rappresaglie e non abbreviarono (tali azioni para-militari) nemmeno di un giorno l'esito del conflitto mondiale, deciso nelle pianure della Mitteleuropa.
E queste sono le cose di casa nostra.
Negritudine.
In realtà il film è un inno alla Divisione Buffalo, un risarcimento morale alla "carne da cannone" che ha combattuto e vinto come gli altri (anche se "Glory, uomini di gloria" di Zwick del 1987 mi ha entusiasmato di più. Altro contesto, stesso riconoscimento morale ai combattenti di colore).
Conclusione, purtroppo per l'A.N.P.I:
1) il film ha rafforzato la mia posizione nell' A.N.E.F. (accà nisciuno è fesso) e la mia modesta convinzione che il massimo rispetto è dovuto ai soldati che hanno combattuto (parlo degli italici) con le stellette al collo. E parlare di luce ed ombre della Resistenza non è sacrilego. Un tizio, mi pare si chiamasse Indro Montanelli e, pare, facesse il giornalista (di razza) disse che in Italia c'erano state più guerre: quella degli alleati "liberatori" contro i tedeschi "invasori" (in realtà invasori tutti e due). Quella del Regno del Sud contro la Repubblica Sociale del Nord, quella degli antifascisti contro i fascisti. E infine, quella di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, degli antifascisti tra loro per il tentativo comunista di assumere l'esclusiva della lotta al fascismo facendo fuori, in nome di essa, tutti gli altri.
2) Come cambiano i tempi. Per fortuna. Oggi, in caso, non verrebbero a liberarmi dalla dittatura degli energumeni di colore. Verrà Sarah Palin, in tacchi a spillo. Tacco 10. Credo (ma io sono scusato. Di solito guardo….).