GOOD BYE, LENIN!

"Il cristianesimo predica la povertà, il comunismo la realizza"

Prm...prm...prm...prm...il rumore del motore di una vecchia Trabant. Prm...prm...prm...prm...o le pernacchie della Storia.
"Per me la corazzata Potemkim è una cagata pazzesca!".

La battuta, a suo modo storica, fu lo smascheramento, avvenuto a metà degli anni settanta (ma ripassato mille volte anche sui moderni schermi, da allora) della mestizia di certi agonizzanti pomeriggi al cineforum, intrisi di pallosissimi messaggi intellettualmente impegnati. 

Sì, il grido liberatorio di Fantozzi, ancorchè non provenire da un critico ma da un comico popolare, ha segnato il ridicolo di certe vestali use a bollirsi gli attributi nella visione di obbrobri editorial-ideologici. A tinta unita.

Premessa necessaria per spiegare di essermi appropinquato alla visione di questo film (dato il titolo) con fare circospetto.

Invece ho trovato, con mia somma m(a)raviglia in questa acuta e divertente commedia la trattazione di un tema non nuovo, come la Caduta del Muro di Berlino (anche se ormai potremmo anche considerarlo Oligocene, vista la distanza spaziale più che temporale dai giorni dell'avvenimento. Chi si ricorda più di questo Stato, quest'entità quasi astratta creata dalla follia umana? Nessuno!!!) un interpretazione leggera e simpatica. 

Il regista, tal Wolfang Becker, dà luogo ad una narrazione in souplesse, con il canovaccio, ormai abusato (se vogliamo) nella cinematografia che deve affrontare eventi di portata storica, della storia privata assorbita, annegata, compressa nel sottospazio della Storia pubblica.

L'enarrazione della trama racconta, infatti, di un ragazzo che deve assistere la madre, attivista comunista, tale Christiane Kerner (Katrin Sass) risvegliatasi dopo un coma di otto mesi causato da un infarto. 

Siamo a Berlino Est, ottobre 1989. Il problema e' che nel frattempo la Germania dell'Est ha imboccato la superstrada per Bonn, per andare incontro e dentro all'Ovest, con conseguente miserrima caduta nella polvere e relativo disfacimento del regime socialista. La madre e' molto debole, un piccolo trauma potrebbe esserle fatale. In effetti passare dal grigio dei casermoni squadrati creati dalla malata mente dei urbanisti socialisti (almeno a Cuba c' è il sole e il mare) all'arcobaleno dei colori del capitalismo deve essere stato, almeno un pò, traumatizzante. Dal grigio al glacé.

Troppo per l'uomo della strada. Il ragazzo, Alex, riparatore tv, allora, invece di cantarle il tàntum ergo, che probabilmente le avrebbe permesso tantosto di comprendere la situazione storica e personale, si avvita in un tentativo disperato di far finta che nulla fosse cambiato. Ricostruisce cosi', tra le mura di casa, una sorta di blocco degli avvenimenti storici, uno stop-motion degli eventi. Ma reggere la finzione non è così facile: tutto cio' che la madre ritiene naturale e ovvio, naturale e ovvio non lo e' affatto, dai cetriolini Spreewald, sostituiti da altri di importazione olandese, ai telegiornali di propaganda, ricostruiti grazie all'amicizia con un aspirante regista. Grazie al quale riesce a fornire alla madre il voucher per un viaggio al contrario, con qualche trovata anche esilarante.

Come quando si inventa, dopo che la madre ha visto srotolare un enorme manifesto della Coca-Cola (il nemico pubblico n.1), che la DDR si è comprata la stessa, messo in scena con un cinegiornale pregno di retorica, come solo i telegiornali sovietici e parasovietici eran capaci di fare. Nella realtà tutti sappiamo che la Coca-Cola (il brand) è riuscita dove anche il napalm ha fallito.

E' chiaro che il film, mai troppo banale, affronta in effetti lo smarrimento di un popolo, che una volta raggiunta la libertà è spiazzato dal passare da un sistema nel quale non era possibile fare domande (solo una domanda era ammessa:quella per entrare nella Stasi) a un mare aperto e tempestoso che è la vita di una società (grazie a Dio) competitiva, pragmatica e multiforme.

Rappresentato, seppur nella forma più elementare e bassa (non alta delle idee, non astrazione ideologica ma quotidianità) dei prodotti che hanno un significato totemico, racchiuso nel fatto che vede i simboli perdenti fatti scomparire dai nuovi simboli. La Coca-Cola e il Burger King che abbattono la DDR. Non vi fa ridere la Storia?

Certo, ai miei occhi, mentre se per gli anziani presenti nel "comitato di condominio" la vena di tristezza può anche essere credibile (la gioventù passata viene mitizzata da ognuno di noi, financo da un Vopos) per il protagonista, un ragazzo dalla faccia pulita e mobile, la credibilità filmica è un po più difficile da raggiungere. Quale ragazzo rimpiangerebbe un sistema così soffocante, una cella a cielo aperto. Bisognerebbe essere imbecilli o in malafede. O entrambi. Come dite? Idealista? Quindi imbecille! Come vedete tutto torna.

Chiaramente il gioco non dura mai troppo e un bel giorno i primi passi di una bambina (la figlia della figlia) spingono la donna ad alzarsi dal letto e a intraprendere una passeggiata sonnambula e vagamente onirica tra quelle strade che non vedeva da un pò. Ed è qui che c'è la scena più simbolica, che racchiude il significato di tutto il film: quella in cui la statua di Lenin,il cui busto sradicato viaggia appeso ad un elicottero a bassa quota (ricordate la statua di Saddam?), passa davanti alla protagonista, per essere portato, immaginiamo, nel dimenticatoio.

Essa morirà poco dopo, dopo aver appreso la verità dalla fidanzata del figlio (una bella ragazza/infermiera russa), nascondendo il tutto al figlio, che ignaro della cosa preparerà il suo atto finale: l'arrivo dei tedeschi dell'ovest in seguito alla fuga nella Repubblica Democratica Tedesca. La Storia al contrario.

Non prima di raccontare ai figli che il padre era scappato anni addietro con la speranza di ricongiungersi dall'altra parte del Muro. Insomma il racconto di una storia privata schiacciata dall'effetto nefasto di un sistema di regole basato sull'ideologia sovietizzante. Un padre alla ricerca della libertà, costretto ad abbandonare i propri figli (puoi essere ancora nostalgico, Alex?).

Carina è carina la pellicola tedesca, grande successo cinematografico in Germania (oltre 5 milioni di spettatori) e premio come miglior film europeo al festival di Berlino 2003.

Per me la migliore battuta è quando la madre di Alex osserva con stupore :"in solo tre anni ci hanno consegnato la macchina nuova!". Trabant, chiaramente.

Un film che consiglio. Amaro ma leggero.

Prm...prm...prm...prm...il rumore del motore di una vecchia Trabant. Prm...prm...prm...prm...o le pernacchie della Storia.

Addio Lenin.