IL CAVALIERE PALLIDO

Idaho (USA), seconda metà dell'Ottocento. Un gruppo di cercatori si spezza la schiena e s'affanna a cercar pepite, nella speranza di diventare ricco con il baluginio dell'oro.

Purtroppo sul pezzo di terra dei "padellari" ha messo gli occhi il solito signorotto locale, Coy Lahhod (Richard Dysart), che vorrebbe cacciare i cercatori accampando fantomatici diritti di proprietà su quel terreno attraversato dal ruscello.

E intanto, senza alcun rimorso, sventra la montagna con potenti getti d'acqua.

Il capo dei peones, il mite ma determinato a non farsi mettere i piedi in testa Hull Barret (Michael Moriarty), viene pestato a sangue, mentre la piccola Megan, figlia della sfiorita Sara Wheeler invoca l'aiuto celeste.

Ed ecco che mentre recita un brano dell'Apocalisse di Giovanni materializzarsi uno sconosciuto predicatore (Clint Eastwood), ben munito di artiglieria. E la sa anche usare bene...

Non ci mette molto a mandare sotto terra il clan dei malvagi, prezzolati aiuti esterni compresi.

"Il quarto cavaliere aveva nome Morte e l'Inferno lo seguiva." Su questo verso biblico si basa l'enigma di un film teso e senza fronzoli: chi è Preacher, un pistolero solitario o un angelo vendicatore evocato dalla giovane Megan?

Clint Eastwood con IL CAVALIERE PALLIDO mostra l'influenza che il western classico ha avuto su di lui con una pellicola ricca di citazioni ma comunque contraddistinta da un approccio personale.

In pratica una bella fotocopia a colori del giustiziere solitario della prateria cucitagli su misura vent'anni prima dal grande Sergio Leone

Notevole il realismo nelle scene di violenza, che sottolinea la crudeltà insita nel mondo del Far West.