ROMANZO CRIMINALE

Roma, primi anni '70. Non esita a far secco l'ostaggio l'impulsivo Libano (Pierfrancesco Favino), eppure la gang del più riflessivo Freddo (Kim Rossi Stuart), dal sequestro del barone Rosellini incassa tre miliardi.

Libanese ha un sogno. Per realizzare l'impresa senza precedenti di conquistare Roma mette su una banda spietata ed organizzata: così ci prendiamo la città.


Ma il commissario Scialoja (Stefano Accorsi) risale alla squillo Patrizia (Anna Mouglalis), che è la donna su cui ha messo gli occhi il fatuo Dandi (Claudio Santamaria), terzo cervello della banda, ma che irretisce lo sbirro, che cerca di conquistarle il cuore.

Ambizioso, aspro e violentissimo poliziesco, tratto dal fortunato romanzo di De Cataldo, ovvero le (ricamatissime) vicende della "Banda della Magliana" e dell'alternarsi dei suoi capi (il Libanese, il Freddo, il Dandi) che si sviluppano nell'arco di venticinque anni, intrecciandosi in modo indissolubile con la storia oscura dell'Italia delle stragi, del terrorismo e della strategia della tensione prima, dei ruggenti anni '80 e di Mani Pulite poi.

Avvincente e interminabile, stilisticamente ineccepibile, infiorato da sanguinose scene madri e attraversato da personaggi crudeli. In questo il regista Michele Placido (che si riserva anche un piccolo cameo e che si tiene in realtà lontano dall'approfondimento degli avvenimenti "politici") è aiutato da un gruppo di protagonisti tutti assolutamente adatti alla parte assegnata.

Con, in più, una perfetta dark lady interpretata da Anna Mouglalis, nel doppio ruolo di donna del boss e del commissario (ricorda l'ambiguità di Eva Kant, divisa tra Diabolik e Gekko), vero perno dei rapporti tra il mondo dei 'buoni' (un Accorsi in versione impiegatizia) e quello di coloro che buoni non saranno mai perché costantemente spinti da quello che il loro credo mafioso definisce un 'sentimento nobile': la vendetta.




Ingenuo negli inserti storici e negli spezzoni da documentario utili per far andare a braccetto le storie della Banda e del Paese.

Il finale dolciastro?