
Chiaramente il suo stakanovismo fa la gioia dei dirigenti e la rabbia dei colleghi di lavoro.
Unici svaghi il calcio e la televisione. Oltre che moglie, la parrucchiera Lidia (Mariangela Melato), che lo ama tiepidamente, e figlio.
Più ore fa, più la busta paga s'ingrossa.
Ma quando perde un dito in un ingranaggio della macchina a cui è addetto e quasi contemporaneamente il posto dopo uno scontro con la polizia, comincia ad avere dei dubbi.
Finito come pedina nelle mani di chi chiede maggiore tutela dei lavoratori, ma che non bada alle possibili conseguenze della lotta sulla pelle di chi dovrebbe essere protetto, è abbandonato da tutti.
Alla fine i sindacati costringono l'azienda a riassumerlo, ma il poveretto ormai non ci sta più con la testa.
LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO vede all'opera un superlativo Gian Maria Volonte', tanto sanguigno, bilioso e strabordante da farsi irresistibile.
Il perfetto protagonista della grottesca, beffarda, urlata ed amara denuncia anticapitalista del compagno Elio Petri. Ovviamente targata PCI.
La morale è chiara. Cosa non si fa sulla pelle degli operai per il tornaconto degli avidi Padroni. Sorvolando sull'insoluta nevrosi del proletariato: cottimo, alienazione, massificazione, lusinghe borghesi e del consumismo.
Comunque nel descrivere il percorso del protagonista da operaio modello ad accanito contestatore, il regista sembra lanciare critiche a largo raggio: alla classe industriale, al movimento studentesco e ai sindacati.
Peccato che sui pericoli della civiltà industriale avesse manifestato qualche perplessità con trentacinque anni di anticipo, anche un certo Chaplin (TEMPI MODERNI).
LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO è un film partigiano, vietato ancor oggi a tutti i padroni cattivi.
Bisogna ammettere che rivedendolo ci accorge che risulta invecchiato peggio rispetto al precedente INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO.