CINDERELLA MAN - UNA RAGIONE PER LOTTARE

New Jersey, 1932. Picchia vistosamente meno l'immigrato irlandese Jim Braddock (Russell Crowe), che un tempo tra i pesi massimi non aveva avversari visto che li mandava tutti ko.
Finchè, dopo una serie di importanti vittorie, una frattura alla mano destra interrompe la carriera e il sodalizio con l'amico manager Joe Gould (Paul Giamatti).

Che anno maledetto il 1929: dopo esser finito nell'ombra Wall Street precipita e quindi addio risparmi.

Mia cara moglie Mae (Renée Zellweger), non ti preoccupare, manterrò te e i nostri tre bambini in qualsiasi modo, anche scaricando i sacchi al porto.

Poi la fortuna gira e rimette i guantoni: caspita è proprio quello imbattibile di prima. Ma la riemersione ha dell'incredibile: nel 1935 combatte per il titolo mondiale dei pesi massimi e liquida il temibile (aveva già due morti a suo carico sul ring) Max Baer, vendicando anche Carnera.

Occhio, ragazzo, arriva Joe Louis.

CINDERELLA MAN - UNA RAGIONE PER LOTTARE è un appassionante ed emozionante melodramma sentimental-sportivo, ispirato alla storia vera di James J. Braddock, che racconta la vita straordinaria di un pugile diventato un eroe nazionale.

Ron Howard dirige un perfetto, per un un ruolo come questo, Russell Crowe. L'attore australiano offre al suo protagonista non solo una fisicità straordinaria ma anche la vasta gamma di espressioni di cui è capace (sorride poco ma mena tanto).

E' il nucleo del film è il tema del 'non mollare' in un'epoca della storia americana che ha più di un punto di contatto con quella contemporanea: la Grande Depressione.

Un Dio, patria e famiglia innanzitutto, poi vengono i pugni.

James J. Braddock ne diviene un simbolo popolare perché non dimentica le proprie origini e conosce la miseria economica. Che non coincide mai con il degrado morale. I suoi valori sono saldi così come salda è la consapevolezza che nel Grande Paese non tutto è davvero 'grande'.
Il sottoscala in cui vive la famiglia di un uomo che ogni giorno deve cercare un lavoro precario è il luogo a cui tornare ogni giorno per fingere magari un'improvvisa inappetenza per dare più cibo ai propri figli. La boxe diventa così, ancora una volta ma con più intensità che in altri casi, un'occasione cinematografica per parlare del riscatto umano per non far dimenticare ciò che fa di un essere umano un 'uomo'.

Si osservi la scena in cui James saluta i figli prima di lasciarli per l'incontro che potrebbe costargli la vita. Dà una carezza ai due più piccoli e la mano al figlio maggiore. Subito anche quello immediatamente più giovane gli tende la propria per affermare la propria 'crescita' e assunzione di responsabilità. Potrebbe essere (questa come altre) una scena di un film del passato. Ma non stona, non è retorica, commuove.

Perché, fortunatamente, c'è ancora il grande cinema che intrattiene senza far rinunciare a pensare.