Ma lo piazza nell’organigramma della banda nonostante la palese diffidenza del luogotenente/guardaspalle French (Ray Winstone).
Dall’altra parte della barricata, nella squadra del paterno capitano di polizia Queenan (Martin Sheen) e del meno attendista e diplomatico (o saggio, fate voi) sergente Dignam (Mark Whalberg) nessuno ha il minimo dubbio sulla moralità e rettitudine dell’agente Colin Sullivan (Matt Damon), che è stato invece “tirato su” dal capomafia, inserito nella polizia di Boston e a cui ha agevolato la carriera grazie ad entrature e a qualche dritta di prima mano su affari e omicidi “sporchi” (chi meglio di lui può sapere le cose!) da risolvere in fretta, facendo un figurone con colleghi e superiori. In sostanza adesso ha un poliziotto pronto a passargli ogni minima informazione sui movimenti dei colleghi per incastrare il boss medesimo, che ufficialmente anchegli è chiamato a mettere in gattabuia.
A dividere i due giovani, poliziotti e spioni entrambi, ognuno all’oscuro dell’identità dell’altro, anche se appare chiaro che c’è una spia in entrambi gli schieramenti (il bene e il male, avete presente?) c’è anche una bella psicologa (Vera Farmiga), che incarta con maniacale perseveranza ancora di più la vicenda, dividendo il letto ora con uno e poi con l’altro.
E comincia la caccia per scoprire ognuno l’identità dell’altro, in un architettura complessa, visto lo scopo speculare dei due (la lotta tra il bene e il male, sapete?) dal montaggio frenetico, con sprazzi di crudeltà esibita. E i cellulari sempre a vibrare, come orchestra dei continui ed inquietanti rovesciamenti di fronte, che danno ai due la dose quotidiana di ansia, vittime di un meccanismo che potrebbe schiacciarli e significare, perdere la vita, per uno, finire in prigione, per l’altro.

Appena appena lungo, questo sì. Con un finale più da dolcificante artificiale che dolce.
Ma che ve lo dico a fare.