Roma, nell'anno del Signore 1867. Tre giovani rivoluzionari che fanno saltare per aria una caserma provocando la morte di ventitre zuavi, soldati di Pio IX, sono presi e subito condannati a morte.
La contessa Flaminia Costa (Carmen Scarpitta), madre di uno dei tre condannati, Cesarino Costa (Danilo Mattei), si rivolge a monsignor Colombo di Priverno (Nino Manfredi), giudice supremo della Sacra Consulta, per ottenere la grazia.
Sorpresa: il Monsignore è il padre naturale del giovane idealista bombarolo destinato alla forca.
Salvato il figlio dal patibolo, con un gran sermone in Tribunale, e rimanendo con il piede in due staffe, cerca invano di far assolvere gli altri due, ma il conte Ottavio (Carlo Bagno), geloso marito della contessa, è in moto verso il tragico destino di coltello.
IN NOME DEL PAPA RE è un brillantissimo film drammatico, probabilmente il film più riuscito di Luigi Magni, autore anche di soggetto e sceneggiatura, ambientato nella Roma papalina di Pio IX durante i moti risorgimentali.
Non è la prima volta che ne parla (di nove anni prima è NELL'ANNO DEL SIGNORE), con impeto dissacratore e fortemente anticlericale.
Una bellissima rievocazione d'epoca, ora con modi dialettali (con linguaggio popolare verace) e rugantini, ora ricalcando le orme del teatro ottocentesco più sanguigno e corposo, sfiorando il romanzo popolare.
Una parte di verità storica c'è: nell'anno del Signore 1867 si compirono a Roma, in nome del Papa Re, due delitti di stato. I muratori sovversivi Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti furono ghigliottinati, dopo un processo senza difesa, come colpevoli dell'attentato alla caserma Serristori in Trastevere in cui avevano perso la vita, appunto, i ventitre zuavi.
Fu l'ultima esecuzione capitale ordinata dal Pontefice: tre anni dopo, con la Breccia, il Papa perse il titolo di Re.
Il resto è fatta dalla fantasia e dalla bravura, con dialoghi frizzanti, spesso in romanesco, come anzidetto, che smussano i toni più drammatici.
Nino Manfredi? S-U-P-E-R-L-A-T-I-V-O. E mi sono t-r-a-t-t-e-n-u-t-o.