California, 1983. Al ruvido sergente Tom Highway, più familiarmente conosciuto come Gunny (Clint Eastwood), veterano delle Guerre di Corea prima e Vietnam poi, mica troppo simpatico agli ufficialetti di primo pelo venuti su a pane e libri (di tattica militare, azione poca), viene affidato l’addestramento di un plotone di marines abbastanza sbrindellati (qualcuno fa anche il cantante, per dire), lavativi e a prima vista anche tutt’altro che pronti alla bisogna.
Il poco malleabile militare, sottufficiale poco gentiluomo, usando il pugno di ferro (ma anche molta umanità) e tutto quanto aveva appreso nelle sue “campagne”, trasforma in breve tempi i lavativi in soldati pronti alla guerra, insomma pronti a fare il proprio mestiere.
L’allarme non tarda a venire: intervento armato nell’isola di Grenada (25-10-1983) dopo il golpe del solito generale da operetta.
Arrivano i nostri, in fretta e bene, per una nuova lezione di democrazia, in una guerra-lampo vinta dagli Usa.
Onore al fiero militare tutto d’un pezzo, che dopo aver condotto i suoi uomini al meglio possibile, torna finalmente a casa per attaccare il fucile al chiodo e riabbracciare l’ex moglie Aggie (Marsha Mason), fiera del coraggio dell’uomo che non ha mai cessato di amare.
Il riposo del guerriero.
Sempre barcamenandosi tra enfasi ed ironia il regista Clint Eastwood, un regista che cresce, dirige l’attore Clint Eastwood in un ruolo su misura, in un dramma che si ispirava alle recenti cronache di allora, con la consueta grinta ed amor di patria.
GUNNY è certamente un film reazionario e militarista nel senso buono del termine, come piace a noi.
Un consiglio per le signore: come in tutti i film con maschiacci in mimetica (leggi “ambiente militare”) il linguaggio è a dir poco colorito.