SPY GAME

Stavo facendo quella cosa che fa diventare ciechi (lo zapping nda) quando ho incrociato di nuovo questo bel film. E noo!!, caro il mio, adesso, con la scusa del solito pezzullo sapido sapido, non vorrai mica far passare l’ipotesi che il film di uno Scott (inteso come regista hollywoodiano. Nello specifico Tony, il fratello considerato meno dotato della famiglia ) sia da vedere.

Ammissione senza attenuanti di sorta. Mi piace proprio questa spy story che innesta (beh! ok!, ok! questo è un meccanismo classico) nelle storie di controspionaggio e operazioni sotto copertura, secondo gli addetti ai lavori, “sporche” per le opinioni pubbliche “sinceramente democratiche” (???), i sentimenti “privati”. 

Venticinque anni dopo l’ottimo I TRE GIORNI DEL CONDOR (Sidney Lumet, 1975) Robert Redford viene affiancato dal giovane Brad Pitt, nel rituale straclassico vecchio-giovane che stavolta non disturba affatto. Anzi. Il fascino del buon Redford è rimasto intatto (preciso, per la cronaca, che mi piacciono le donne).

Siamo nel 1991. Virginia. Il Muro sta venendo giù, sapete. Nathan Muir (Redford) è un veterano agente CIA, di quelli che sono semovibili in giro per le aree calde del mondo a “risolvere problemi”, all'ultimo giorno prima della pensione. Tom Bishop (Pitt) è una sua “creatura”. Nathan potrebbe tranquillamente affermare, con aria da vecchio marpione, “Tutto quello che sa, lo ha appreso da me”. 

Tom però ha cercato di utilizzare quello che sa per fare una capatina in una prigione di massima sicurezza cinese. Pigiama a righe su due piedi e condanna a morte: restano solo ventiquattr’ore per salvarlo. Si sa che i cinesi sono abbastanza sbrigatevi su queste cose. Hanno preso un sacco di medaglie nella specialità “pena di morte”. 

A Langley, sede della CIA, Muir viene convocato dalla misteriosa unità di crisi che riguarda il suo più giovane collega. I capi, con il loro gregge di burocrati con la mente offuscata dal carrierismo, non vogliono però dirgli come stanno le cose. 

Anzi vogliono risposte: Qual’era il suo scopo? Chi voleva liberare? Chi sapeva della missione?. “Eri autorizzato ad uccidere?” è l’ipocrita domanda, sullo svolgimento delle missioni precedenti, rivolta a chi sul campo c’è stato per davvero (e quanto mi fa incazzare l’ipocrisia del sistema!). E poi si sa che i burocrati non hanno mai idee proprie. Almeno mai buone.

Ma Muir, vecchio arnese da campo, le intuisce (le idee) e gli si stringe il cuore: i burocrati hanno fatto pollice verso e Bishop verrà abbandonato al proprio destino per non creare un incidente diplomatico che possa compromettere un importante accordo fra USA e Cina, con una visita a breve del Presidente americano. 

Nel frattempo attraverso l’uso dei flash back abbiamo visto i due in azione a Da Nang (Vietnam, ‘75), Berlino (’76), e in quel macello a cielo aperto che è stato il Libano negli anni ottanta (in particolare, Beirut, tra bombe, milizie e civili innocenti). Insomma storia recente. 

Però Muir è di tutt'altro avviso e per salvare il condannato si destreggia al meglio delle sue possibilità/conoscenze fra i capi che lo sottopongono a un estenuante interrogatorio per saperne di più e lui che prova a fare gli elogi del suo delfino e, soprattutto, a capovolgere il gioco. 

Una partita a poker, ma il professionista al tavolo è uno solo. Sull'onda dei suoi ricordi tutto si chiarisce: riguarda una donna, della quale Bishop è innamorato, e che ha seguito rinunciando ad eseguire ordini. Insomma si è fatto fregare dal cuore. E non parlo di infarto.

Muir rinuncerà ai "risparmi di una vita" per liberare il suo amico con un'azione "privata", la famosa “Operazione Cena Fuori”, dopo aver concentrato i neuroni su un umano, inevitabile, fremito ribellistico alla soglia della pensione.

Mettersi in proprio sfruttando quello che si sa fare meglio. Quello che si è fatto, obbedendo agli ordini, per tutta una vita. Coinvolgente l’uso dei fermo immagine con l’indicazione dell’ora (che vedremo anche in NEMICO PUBBLICO), che fanno capire, fermando l’istante e fissandolo, quanto poco tempo ci sia. 

Coppia ben assortita e tensione spettacolare, incalzante, senza utilizzare effetti speciali a manetta (a Beirut le esplosioni erano veramente così devastanti). Un racconto ben fatto e l’idea fantastica di utilizzare la CIA contro la CIA. 

Niente Ragion di Stato, stavolta. Ragione e passione, cinismo e sentimento, ritmo e credibilità.

Ve lo già detto che mi è piaciuto?