ACAB - ALL COPS ARE BASTARDS

Roma. I celerini Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) fanno la guerra in città, nelle strade, stipati come sardine dentro il furgone di servizio.

Non sono semplicemente colleghi,  sono 'fratelli' dentro gli stadi, lungo le strade e intorno alle piazze che 'ripuliscono' la domenica dagli ultras del tifo organizzato (per ammazzarli) e i giorni in avanzo dai clandestini, dagli sfrattati, dai delinquenti e dalle puttane.

Sono figli di una Roma proletaria, con fascinazioni di destra, direbbe il bravo critico. Attaccati alle loro radici e ai loro valori, dico io.

Vittime della rabbia di delinquenti che tirano pietre fuori dalle curve, chiamati a fronteggiare operai, poveri Cristi come loro, che manifestano, inquilini abusivi e immigrati clandestini usano la violenza per difendere uno Stato che non li merita, per difendersi ma anche per farsi giustizia da sè.

I manganelli lavorano sodo, anche perchè i poliziotti devono pur sfogare i propri rancori familiari.

ACAB - ALL COPS ARE BASTARDS  di Stefano Sollima (figlio d'arte, il padre è quello di Sandokan, per dire nda) è un riuscito film di genere che assomiglia a un poliziottesco anni Settanta teso e ben girato. Un noir in piena regola: metropoli da girone infernale, totale assenza di personaggi positivi, vite private allo sbando (con annessa qualche banalità).

Un opera che vorrebbe mostrare come vivono, cosa pensano e come picchiano gli agenti del reparto celere in Italia. E quanto parlano. Qui in romanesco strettissimo.

Acab è l'acronimo di All cops are bastards (tutti i poliziotti sono bastardi), titolo di un brano del gruppo rock The 4-skins risalente al 1979, divenuto uno slogan tra gli ultras.

Il regista ha il merito di mettere in piazza uomini che in città abbandonate dallo Stato, devono buttare giù dal balcone i panni di un vecchio sotto sfratto o comparire dal giudice, per difendersi dall'accusa di abuso di potere.

Biasimati e disapprovati, malpagati, male addestrati e nulla equipaggiati, devono agire immediatamente, privilegiando l'efficacia ai valori democratici. Là fuori il controllo gerarchico si allenta e gli uomini restano soli con la paura di un 'nemico interno' e la libertà d'azione di fare il male, di fare male, di farsi male.

Certo la visione non è neutrale, anzi parziale,visto che nel film i celerini hanno un background fascista, rispondono all'odio con l'odio, ricorrono alla giustizia fai date e sono provvisti di uno spirito di corpo che va al di là della legge, quando si tratta di coprirsi a vicenda. E chi esce dal branco, per far rispettare le regole, viene bollato come "infame".

Io ho inteso la pellicola come un film di denuncia contro la classe politica, la quale nulla compie per rendere più agevole il lavoro delle forze dell'ordine.

Buttati dentro persino tre assaggi sul fattaccio della Diaz, su Raciti e su Sandri: un bignamino dei fatti di cronaca degli ultimi anni (che danno spunto ad affermazioni non del tutto condivisibili). 

Esteticamente ACAB è una meraviglia per gli occhi: l'eccellente fotografia esalta le magnifiche scene d'azione.