DON'T SAY A WORD

New York. La tranquilla esistenza del benestante psichiatra infantile Nathan Conrad (Michael Douglas) è sconvolta dal sequestro della figlioletta Jessie, finita nelle mani del rapitore, appena scarcerato, Patrick Koster (Sean Bean).

Il bandito pretende che il medico lo conduca al rubino da dieci milioni di dollari rubato nell'assalto ad un caveau e imboscato dieci anni prima da un complice giuda, che prima di essere ucciso dai compari l'aveva affidato alla figlia Elizabeth (Brittan Murphy): nel cervello bloccato della ragazza c'è un numero fondamentale, la combinazione per arrivare al tesoro.

Spinto dalla trepidante consorte Aggie (Famke Janssen), il dottore non può far altro che obbedire: inizia così una corsa contro il tempo per estirpare in gran fretta il segreto dalla testa di Elizabeth, ormai diciottenne ma mai guarita, e al tempo stesso tenere la bocca chiusa con la polizia.

Lo psichiatra comicia a lavorare al caso più difficile della sua vita, tallonato e minacciato minuto per minuto.

DON'T SAY A WORD è un frenetico thriller diretto dal regista Gary Fleder, che ci regala una buona suspence, ma si inerpica oltre i limiti del verosimile e non riesce a sottrarsi alle sirene di un redde rationem (in un vecchio cimitero) inutilmente sanguinolento.

L'invecchiatissimo Michael Douglas dall'orrendo cappello rosso fa la faccia truce e ritorna da eroe: forse perchè la moglie della finzione è più sexy di quella della realtà.

Ma sull'ultimo concetto mi dissocio da me stesso.