Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans

New Orleans, autunno 2005.

Colpa del furioso passaggio dell'uragano Katrina se il tenente di polizia Terence McDonagh (Nicolas Cage) zoppica: per salvare da morte certa un detenuto chiuso in una prigione allagata si è lesionato la schiena.

Ottenuta così la nomina a tenente e una prescrizione vitalizia per il Vicodin, potente antidolorifico per il trauma riportato, per lenire il dolore sniffa anche di cocaina, e alla bisogna fuma crack, in compagnia dell'amata Frankie (Eva Mendes), una prostituta, non esitando a sottrarla ai balordi cui dà la caccia.

Ora però ha un caso delicato tra le mani. Chi ha sterminato una famiglia di immigrati senegalesi? In giro si fa il nome del mega boss, spacciatore all'ingrosso, Big Fate.

Convinto di poter incastrare il colpevole si butta nelle indagini con il compare, detective Stevie (Val Kilmer), senza interrompere il flirt con la bella squillo.
In una pericolosa gimkana cerca di convincere persone, non ha paura e scommette, forte, su se stesso.

Che letamaio la città.

Poliziesco serrato ed inventivo, quasi allucinato, comunque inusuale del regista tedesco Werner Herzog, che con IL CATTIVO TENENTE (The Bad Lieutenant. Port of Call: New Orleans) scommette su Nicolas Cage e vince, immergendosi nei bassifondi di una New Orleans ancora devastata dal cataclisma, come testimoniano coccodrilli ed iguana a spasso per le strade.
Quest'ultimo non ha (e non avrà mai, suppongo) l'intensità drammatica e il pathos di Harvey Keitel, ma dopotutto sono due tenenti profondamente diversi e va bene anche così.

Impunemente strafatto, pessimo caso di correttezza professionale il tenente McDonagh è uno dei personaggi più lucidi che Cage si sia trovato ad interpretare, uno storto che procede diritto alla meta, passo dopo passo, invenzione dopo invenzione, perfettamente in linea con altri personaggi del regista.Ovviamente

Il film stesso procede in questo modo, seguendo il suo uomo lungo i luoghi dell'indagine e quelli del cinema, dal noir del detective in impermeabile al poliziesco da cliché, alla commedia della vecchietta bisbetica ingegnosamente minacciata e punita. Ma quanta libertà nel percorso, quanto piacere del viaggio, del gioco.

Assolutamente non credibile invece la Mendes nel ruolo di una prostituta anch'essa cocainomane ma con un look da rotocalco di moda.

Nonostante il titolo, questo film ha ben poco in comune con la pellicola omonima di Abel Ferrara. La logica della sfida con il dio, colpevole di avere abbandonato l'uomo a se stesso, la violenza della parola, la disintegrazione delle relazioni affettive, sono lontane come la notte (scenario prediletto di quel film) dal giorno (di cui non ha alcun timore, invece, questo sedicente remake). Due modi differenti di vedere il cinema che è dentro la realtà, due immaginari distanti quanto lo sono una suora stuprata e un'iguana che sa cose che noi non sappiamo.

Per la sua prima volta in una grande città americana, Herzog non poteva non scegliere un luogo dove l'elemento primordiale dell'acqua è tornato ad esigere il proprio tributo, dove la natura si è imposta sull'uomo ed è entrata da regista nella storia. Anche in America, anche dentro i confini del genere (la crime-story), si può entrare seguendo un serpente e accorgersi con piacere che ovunque c'è di più di ciò che ci si aspettava di incontrare.

E alla fine il cattivo capitano, che ricalca esattamente le orme del cattivo tenente dell’inizio.