SCREAMERS - URLA DALLO SPAZIO

Pianeta Sirius 6B, anno 2078. Il prode colonnello Joseph Hendricksson (Robert Weller), comandante della navicella spaziale che si è arrampicata fin lassù, una volta rimasto con pochi uomini e senza collegamenti, è colto da atroce dubbio.

Chissà se è veramente finito il folle conflitto spaziale che dieci anni prima ha spaccato in due la confederazione galattica, un pò come l'Italia dopo l'8 settembre, per dividersi le risorse minerarie.

Avventuratosi fuori dal suo bunker in un deserto avvelenato da mortali radiazioni, il tempo di un amen e l'ufficiale galattico con i pochi militi superstiti ha modo di accertarsi del contrario, aggredito com'è da un esercito di evoluti robottini sotto forma di lame rotanti dallo stridore penetrante ed insopportabile, gli “screamers” del titolo.

Costoro, dimostratesi ottime armi di difesa nel corso del conflitto, per un processo spontaneo di metamorfosi, sono diventati minireplicanti degli umani a tutti gli effetti, ereditandone soprattutto l'atavica incontrollabile aggressività. 

 Sotto svariate sembianze, i micidiali ordigni sono ormai pronti a distruggere i loro stessi creatori. E se è facile identificarli sotto forma di piccolo rettile d’acciaio, che fare quando prendono l’aspetto di un bambino indifeso?

Si salvi chi può.

SCREAMERS - URLA DALLO SPAZIO è un dramma fantascientifico tratto dal racconto Second Variety (Modello Due, 1953) di Philip K. Dick (infatti riecheggia il motivo dei replicanti di BLADE RUNNER).

Prodotto a basso costo che economizza talmente tanto sugli effetti speciali da sembrare un reperto degli anni cinquanta, ma che riesce a tradurre in suggestive immagini e in un racconto efficace, nel suo alternarsi di colpi di scena e pause di vuoto pneumatico, l'apocalittico pessimismo dello scrittore.

Insomma come distinguere la macchina dall’uomo, il reale dall’apparente?

Anche se nell'onesta regia del canadese Chris Duguay, il discorso non assume le inquietanti valenze del suddetto BLADE RUNNER: qui il doppio incubo dell’umanizzazione della macchina e della simmetrica disumanizzazione dell’uomo non arriva a farsi metafora.