
Lo svelto giovanotto, fiutata l'occasione propizia, ha fatto di soppiatto qualche ripresa, ma il timoroso direttore della rete blocca la messa in onda: non voglio grane, soprattutto giudiziarie.
Le autorità vorrebbero, come da prassi ed immaginario "sinceramente democratico", insabbiare la notizia, ma un ingegnere coraggioso, il responsabile tecnico dell'impianto, Jack Godell (Jack Lemmon), colpito da improvviso pentimento, denuncia le carenze dei sistemi di sicurezza: è stata evitata per un pelo un'anteprima di Chernobyl.
Meglio farlo tacere. Per sempre, ovviamente.
SINDROME CINESE (The China Syndrome) è un robusto ed avvincente film di denuncia, costruito come un giallo, con messaggio antinucleare incorporato, scritto dal regista James Bridges e prodotto da Michael Douglas, che si scaglia contro i bavagli alla libera informazione, imposti da chi con il pretesto del progresso pensa solo ad arricchirsi. Di soldi, oltre che di uranio (il titolo allude al versamento di uranio, che può bucare la terra da parte a parte).

Anche se sarebbe auspicabile non tanto un radicale rifiuto dell’atomo, ma quanto un controllo da parte dell’opinione pubblica che scavalchi gli interessi (grossi) in gioco delle onnivore (di utili) compagnie.
Una strizzata d'occhio agli antinuclearisti e una sberla agli industriali (fascisti, ovvio, ca va sans dire): che cosa poteva desiderare di più l'allora, peraltro bravissima e bellissima, comunista Jane Fonda?
Un premio a Cannes per Jack Lemmon.