WE WERE SOLDIERS

Fort Benning, Georgia (Usa), 1964. Benvenuti nella nuova cavalleria tuona, indicando gli elicotteri, il rude tenente colonnello Hal Moore (Mel Gibson), paracadutista ed eroe della guerra di Corea, ai soldati assegnati per l'addestramento allo scorbutico sergente maggiore Plumley (Sam Elliot).

Dio, patria e famiglia: così a casa l'ufficiale insegna le preghiere ai cinque figli prima di amoreggiare con la bella moglie Julia (Madeleine Stowe), incaricata di tenere su di giri le consorti cotonatissime dei soldati in partenza per il Vietnam.

Nominato comandante del settimo (cavolo, proprio come il generale Custer) gli viene affidato il compito di aprire le ostilità con il nemico: e ora, miei prodi, in volo verso la Valle oscura della morte.

E i dolorosi addii: un soldato parte dopo aver salutato il figlio nella culla, nato il giorno prima. Il colonnello saluta la moglie che dorme ed esce con passo spedito. Lei si sveglia, corre fuori in camicia da notte ma lui è già lontano.

Forse luoghi comuni, ma forse è solo la realtà delle mille partenze di uomini in divisa. E i cari, mogli, figli, madri, ad aspettare, pregando che quella macchina che si ferma davanti casa non venga a portarti notizie di morte.

Poi la domenica di sangue, 14 novembre 1965.

Gran parte del film riguarda infatti la cruenta battaglia intorno a una collina, con rovesciamenti di fronte e tutta la violenza e gli atti di eroismo, il napalm e gli elicotteri che abbiamo visto nei vari film sul Vietnam, con in più la nuova tendenza iperrealista alla Soldato Ryan, alla quale ormai nessun film di guerra può più sfuggire. Le perdite sono terribili ma il colonnello fa il suo dovere di eroe.

Un film robusto, enfatico ed ultrapatriottico (ma non è un difetto ai nostri occhi nda), un avvincente dramma bellico del regista Randall Wallace, che rievoca la battaglia che diede inizio all'infinita guerra del Vietnam.

Un lungo spettacolo di guerra tra fiamme, ardimento e paura e uno spazio, doveroso, per i pianti in famiglia.