
E al risveglio deve affrontare il peggior incubo per una madre, la sparizione di sua figlia nel bel mezzo del viaggio. Già devastata emotivamente dalla morte inaspettata del marito, Kyle si batte disperatamente per convincere piloti e assistenti che sua figlia è effettivamente salita su quell'aereo, benché tutte le prove portino a sospettare di un delirio paranoico della donna.
La cerca dappertutto nell'aereo a due piani che lei stessa, ingegnere aeronautico, ha progettato.
Niente.
Il comprensivo comandante (Sean Bean) le dà una mano, mentre le hostess giurano di non aver mai visto la ragazzina, di cui non esiste nemmeno la carta di imbarco.
Non sono matta, urla la madre disperata. Ammanettata per precauzione, è affidata alle cure del solerte responsabile della sicurezza Gene Carson (Peter Sarsgaard).
Chi la dura la vince.

L'equilibro tra la maturazione della protagonista che da madre angosciata e sconcertata diventa donna d'azione e di cervello è inizialmente davvero perfetto. Purtroppo però tutta la tensione e la suspance accumulata nella prima ora del film, scende in picchiata nella seconda parte e termina con un atterraggio davvero maldestro.
L'idea iniziale è alquanto originale ed è gustosamente condita dal mettere alla berlina le paure e manie attuali degli americani (arabi, attacchi terroristici, un certa misoginia ed una totale indifferenza nei confronti della sorte del prossimo), ma poi Flightplan precipita con un finale davvero scadente sia nella forma che nella sostanza.
La soluzione dell'enigma è troppo complessa, il politically correct invade fastidiosamente il campo e l'happy end è rappresentato in maniera davvero maldestra fragorosamente pomposa. In definitiva il mix tra elementi positivi e negativi mette in pari la bilancia e spedisce Flightplan nell'affollato hangar delle occasioni mancate: il film rimane godibile e merita tutto sommato una visione, ma poteva diventare, con alcuni semplici accorgimenti, davvero un piccolo classico.
La prossima volta la nave.