VESNA VA VELOCE

Trieste. E’ arrivata in autobus da un villaggio della Repubblica Ceca la ventiduenne di bella presenza e priva di mezzi Vesna (Teresa Zajickova) e non è intenzionata a ripartire. Imboscatasi dopo la partenza del pullman, è decisa a tutto pur di non tornare al tristanzuolo paesello.

Probabilmente sa bene, o almeno immagina, che sarà costretta a vendere il proprio corpo pur se in prima battuta, quando un assicuratore (Silvio Orlando), seduttore titubante, la ospita per una notte, tentenna e si nega.

Anche l’autostop offerto da un camionista (Tony Sperandeo) fino alla riviera romagnola non comporta pagamenti in natura, ma è contrassegnato da un tragico episodio in qualche modo profetico: un ceco ubriaco e manesco, buttato fuori da un cameriere (Roberto Citran) da un autogrill, finisce stritolato nel traffico dell’autostrada.

Il primo duro scontro con la realtà avviene per mano (o per bocca) del proprietario di una tavola calda (Antonio Catania) dove la fuggitiva ha mangiato senza pagare: «Tu non te la puoi permettere, quella faccia là».

E infatti eccola a letto con il turpe Ivano Marescotti, eccola sottoposta al ricatto dell’albergatore che pretende 20.000 lire per ogni cliente portato in camera, eccola battere sul marciapiede con le altre compagne di sventura. Però in tal modo Vesna, messi insieme un po’ di soldi, può scapricciarsi in acquisti futili, in una felicità fittizia, inebriata dai soldi guadagnati vendendosi agli uomini e incantata dai negozi scintillanti e colmi di oggetti.

Affamata di libertà, chiusa, laconica, capace di scrivere a casa infinite bugie ottimiste, ha un’ostinazione desolata e ardita, una testarda volontà d’autonomia (persino la gratitudine le sembra una limitazione, i suoi grazie suonano come “vaffanculo”), uno sguardo insieme triste, nebbioso e duro. Quello sguardo vede dell’Italia soltanto le facce maschili affacciate al finestrino dell’automobile per valutare la merce femminile esposta sulla strada, le vetrine e i locali di Rimini, la roba acquistabile, i denari per comprare.

Una sera, una qualunque, spunta anche il classico puttaniere dal volto umano, il muratore caposquadra Antonio ( Antonio Albanese), che dopo esser stato suo cliente, prova ad avvicinarsi come persona, amico, amante. Ma lei gli sfugge: la sua determinazione a fare soldi è il suo destino.
Ma quando la ragazza si becca una coltellata da un magnaccia interessato alla percentuale (alta, altissima) sul suo guadagno, il capomastro è pronto a soccorrerla e ospitarla.

Alla testa di una squadretta operaia multirazziale, lui è abituato a trattare da pari a pari con gli ultimi, ma lei non intende accettare niente che abbia l’apparenza di un regalo. Da un’incomprensione all’altra (Antonio inizia ad amarla ma non arriva a capirla), in seguito a un incidente d’auto i due si ritrovano in una stazione dei carabinieri; e la clandestina, sprovvista di documenti, è trattenuta per il rimpatrio. Vesna però approfitta di una sosta sull’autostrada dei militi che la stanno portando a Firenze e fugge come il vento provocando dietro di sé una mezza catastrofe.

Perchè lei ha chiara una sola regola in testa: per sopravvivere bisogna correre. Veloce.

VESNA VA VELOCE, che rappresenta la definitiva consacrazione di Carlo Mazzacurati nell’empireo del rinascente cinema italiano, è film sensibile, ma diseguale, con molti passaggi a vuoto, anche se sfodera un intenso Albanese in un duetto di toccante verità.

Si può vendere il corpo, salvando l’anima?

Il regista prova a dirlo con attenzione, pudore, rispetto, senza la pretesa di penetrare nel mistero di un essere umano e di spiegarlo allo spettatore.

E in effetti più che raccontare una storia contempla e descrive una di quelle ragazze dell’Europa orientale, prostitute in Italia, spesso protagoniste della cronaca più nera.
Gli interpreti sono bravi.

Fulminante lo scambio di battute tra una ragazza e il semicalvo Albanese : “Hai un pettine? No, ho smesso”.