IL CATTIVO TENENTE

New York. Però che bel soggetto quel tenente di polizia di cui non si conosce manco il nome (Harvey Keitel): fervente cattolico irlandese, grande peccatore di cuore corrotto e mente depravata, rapina i rapinatori, cocaina e whisky a gò-gò fregandosene della famiglia, anche se la mattina accompagna i bambini a scuola.

Inoltre scommette forte sul baseball e va in bestia quando la sua squadra perde: si è indebitato per sessantamila verdoni e il suo feroce creditore gli dà la caccia.

Rimane comunque un fottuto cattolico tanto da disperarsi mentre soccorre una suora violentata su un altare di Harlem da due teppisti.

Ma come sorella, tu li perdoni?

Ormai in "game over" vede Gesù Cristo scendere dalla Croce e chiede, prostrandosi a terra, l'assoluzione per tutti i suoi peccati.

IL CATTIVO TENENTE è un angoscioso dramma metropolitano diretto dal regista Abel Ferrara, triviale, rabbioso, di radicale sgradevolezza, di furibondi eccessi all'insegna di un iperrealismo che sfocia nel visionario, nella ricerca del sensazionalismo grazie a una parabola cristiana senza catarsi né mezze misure.

Ricerca manieristica che si traduce in noia.

Inutilmente bravo il solo attore, Harvey Keitel, capace di cimentarsi con un personaggio così estremo, cane arrabbiato che mugola di dolore, impressionante in due scene (la masturbazione, il monologo in chiesa, e anche in azione nudo come un verme in un lungo frontale) dove sublime e osceno si sovrappongono, mentre fa la spola tra sordidi locali, mentre tracanna, sniffa, impreca e cade in trance.

L'edizione italiana è stata mutilata delle immagini più crude per ottenere il divieto soltanto ai minori di 14 anni.

Abel Ferrara? Nessuna assoluzione. Condannato. Per noia.