
Visto da vicino, il dipinto, opera di un artista locale naïf e un po' folle, morto suicida trent'anni prima, incute una certa impressione.
Specie per il ghigno tra il crudele e lo scalmanato dei personaggi ai fianchi di San Sebastiano durante il martirio.
Da qui a comprendere i motivi del suicidio del suo autore, il pittore Buono Legnani, comunque ce ne corre.
L'ospite non è tranquillo, sente strane presenze intorno a sè, né lo rincuorano i racconti orripilanti dell'amico Mazza.
E intanto muoiono, uccisi misteriosamente, il sagrestano Livio, il tassista chiacchierone Coppola (Gianni Cavina) e la bella Francesca.
LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO si posiziona a metà strada tra il giallo cosiddetto gotico e l'horror, l'originale favola nera di Pupi Avati, cui ha collaborato l'eclettico, e un tempo legatissimo al cinema, Maurizio Costanzo.
Un sorprendente film d'atmosfera (probabilmente sui livelli di PROFONDO ROSSO) che attanaglia dalla paura dagli inquietanti titoli di testa, scanditi a ritmo di coltellate, fino all'agghiacciante, ineguagliabile finale.
Davvero inquietante pur nella sua inverosimiglianza.
Senza alcun effetto speciale, qui l'orrore diventa qualcosa di reale e credibile.
E la parlata padana, tradizionalmente associata a calore, simpatia e gioia di vivere, si trasforma in un suono grottescamente perverso.
Si, insomma, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO mette addosso, in bello stile, una discreta fifa.