LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO

Bassa Ferrarese. Accetta volentieri l'incarico, non gravoso, di restaurare un affresco, il giovane pittore Stefano (Lino Capolicchio).

Visto da vicino, il dipinto, opera di un artista locale naïf e un po' folle, morto suicida trent'anni prima, incute una certa impressione.

Specie per il ghigno tra il crudele e lo scalmanato dei personaggi ai fianchi di San Sebastiano durante il martirio.

Da qui a comprendere i motivi del suicidio del suo autore, il pittore Buono Legnani, comunque ce ne corre.

L'ospite non è tranquillo, sente strane presenze intorno a sè, né lo rincuorano i racconti orripilanti dell'amico Mazza.

E intanto muoiono, uccisi misteriosamente, il sagrestano Livio, il tassista chiacchierone Coppola (Gianni Cavina) e la bella Francesca.

LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO si posiziona a metà strada tra il giallo cosiddetto gotico e l'horror, l'originale favola nera di Pupi Avati, cui ha collaborato l'eclettico, e un tempo legatissimo al cinema, Maurizio Costanzo.

Un sorprendente film d'atmosfera (probabilmente sui livelli di PROFONDO ROSSO) che attanaglia dalla paura dagli inquietanti titoli di testa, scanditi a ritmo di coltellate, fino all'agghiacciante, ineguagliabile finale.

Davvero inquietante pur nella sua inverosimiglianza.

Senza alcun effetto speciale, qui l'orrore diventa qualcosa di reale e credibile.

E la parlata padana, tradizionalmente associata a calore, simpatia e gioia di vivere, si trasforma in un suono grottescamente perverso.

Si, insomma, LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO mette addosso, in bello stile, una discreta fifa.