PROVE APPARENTI

New York. Il boss nero dello spaccio, Shiek Mahmud Bey sfugge ai piedipiatti ammazzandone tre e ferendone un quarto, il veterano Liam Casey (Ian Holm), padre del volitivo ex poliziotto, ora procuratore Sean (Andy Garcia).

Proprio al pivellino, aggregato alla Procura distrettuale, (un nostro PM, insomma) tocca affrontare in tribunale l'avvocato progressista Sam Vigoda (Richard Dreyfuss), che, dopo aver convinto il cliente assassino a costituirsi, tuona: è stata legittima difesa, perchè gli sbirri da lui corrotti, volevano eliminare lo scomodissimo testimone.

Mentre il trafficante si becca un secolo di galera, l'ormai popolarissimo di pietro in erba si porta a letto Peggy Lindstrom (Lena Olin), la bella segretaria del rivale.

Scopre poi i retroscena di corruzione poliziesca che sfiorano persino il suo integerrimo padre.


PROVE APPARENTI è un veemente dramma dove il poliziesco e il giudiziario si fondono, in cui l'indomito regista veterano (40° film, 29° ambientato a New York) picchia sdegnato sui temi a lui più cari: legge, giustizia, corruzione nella polizia e nel palazzo, droga, rapporti tra etica e politica.

Regista di un cinema di storie forti, Lumet dà prova di ammirevole coraggio civico, anche se ha perduto l'ottimismo che caratterizzava i suoi film sino a Serpico (1973), ma rimane convinto che l'amministrazione della giustizia sia l'ultimo baluardo di difesa del sistema, e del sogno, americano.

Tutto funziona a livello tecnico e decorativo (si staglia per avvenenza Lena Olin) ma la storia, tratta dal romanzo Tainted Evidence di Robert Daley, non convince: l'ingenuità del suo protagonista non è credibile.