
La costruzione del (famigerato) ghetto, dove viene spedito con la famiglia, toglie ogni dubbio, ma il peggio deve venire: prima la fame e poi la partenza di freddi e mortali vagoni carichi di persone con la stella gialla (e non solo) sul petto verso destinazioni oscure.
Dopo tre anni di rastrellamenti nella città bombardata il musicista è rimasto solo, visto che i pochi conoscenti venivano presi uno ad uno.
Per molti mesi scappa da un rifugio all'altro, impaurito e affamato, assistendo, impotente, di nascosto, a molte atrocità.
Quando sembra essere arrivata la fine si trova davanti un tedesco che non ha il cuore di pietra, un soldato, non un nazista: perchè non mi uccide, capitano Hosenfeld (Thomas Kretschmann)?
Si salverà, alla fine, e lo troveremo di nuovo al piano, proprio come all'inizio.
Ma naturalmente l'esperienza lo ha devastato.
Niente, neppure Bach sarà più come prima.
Torna la rappresentazione dell'Olocausto, e per mano di un altro "autore" di rilievo.
Sembrava proprio che Mastro Spielberg avesse detto l'ultima parola, invece ecco una storia sul ghetto di Varsavia.
IL PIANISTA è un altro toccante e sconvolgente dramma, tratto dal romanzo autobiografico del sopravvissuto (anche al capitano tedesco, perito poi in un campo di concentramento sovietico) Szpilman, che il regista/ profugo polacco (era bambino nel ghetto di Cracovia) Roman Polanski, dirige con una decorosa sobrietà, tra soavi musiche di Beethoven, Chopin e Bach.
Il film ha vinto la Palma d'oro al festival di Cannes 2002 prima del triplo (meritato) Oscar per film, sceneggiatura e Adrien Brody (che io avevo già apprezzato molto in The jacket), affilato, dolente, perfetto protagonista.