SANSONE

Disporre di figli piccoli ti fornisce l'alibi per vedere film del genere. Pagando. Come aggravante.

Kansas. Sansone (in Italia ha la voce di Pupo, nella versione originale quella di Owen Wilson) è l'enorme alano di 90 chili della famiglia Winslow. La sua ingombrante e pelosa presenza unita al suo carattere irrequieto e poco raffinato non gli impediscono l'amore incondizionato per ognuno dei membri, il padre Phil (Lee Pace), professionista esperto di comunicazione e marketing, la madre Debbie (Judy Greer) e i loro tre figli.

Quando Phil riceve una importante e migliorativa (professionalmente) offerta di lavoro da parte di una ditta di cibo biologico per cani diretta da Tom Towmbly (William H. Macy) , la famiglia Winslow, cane e gatto Carlos compresi, si trasferisce sulle spiagge dorate della California, anche se sia per il cane Sansone che per i ragazzi lo spostamento significa mutare il proprio stile di vita.
Infatti là, Sansone, che non è mai stato un mostro in società, si scontra con il duro ambiente snob e gerarchico dei parchi di Orange County, con i rituali bislacchi e le relative difficoltà di socializzazione all'interno dei vari gruppi canini.
Conosce una quantità di cani, con o senza pedigree ma quasi tutti loquaci quanto lui. Così questo nuovo Sansone, tra una gara di surf e un balletto collettivo, esibisce un intero catalogo di stereotipi sulle varie razze: pittbull "bulli", collie sexy, bastardini emarginati e via di seguito.


Il film, diretto dal regista Tom Dey, realizzato in live action e animazione CGI è tratto dall'omonimo fumetto creato nel 1954 da Brad Anderson che vede protagonista un grande cane alano combinaguai di nome Marmaduke, da noi conosciuto come Sansone, enorme protagonista di brevi strisce umoristiche a lungo pubblicate anche in Italia su “Topolino”.

Dopo il "collega" felino Garfield, tocca anche a lui la trasferta sullo schermo con un filmetto riservato a bambini e cinofili di bocca buona.

Nella filogenesi che va da Lassie, Rin Tin Tin e Zanna Gialla fino ai più recenti Beethoven, Scooby Doo e chihuahua viziati a Beverly Hills, sembrerebbe che l'evoluzione canina tenda a far prevalere gli animali dai tratti più antropomorfi e dai difetti più marcati con il dominio della scena dei cani più ingombranti e turbolenti o, se non altro, quelli con i vizi più simili all'uomo.
Ed è naturale conseguenza che l'adattamento alle larghe dimensioni del cinema comporti un'enfatizzazione dei suoi difetti e dei suoi disastri.


Nel passaggio dalla carta allo schermo, quello stesso alano silenzioso che da più di cinquant'anni è affettuoso oggetto delle freddure e dell'ironia dei suoi padroni sui quotidiani americani, diventa il miglior amico dell'uomo-spettatore, un animale logorroico di novanta chili intento ad ammiccare continuamente al pubblico e a commentare tutto ciò che gli sta attorno.


Il nuovo Sansone si distingue perciò dagli altri molossi prestati al cinema per il modo diretto con cui si rivolge al pubblico infantile e familiare, target più unico che privilegiato di questo tipo di operazioni. Ma se è vero che il film non si fa mancare parentesi musicali né umorismo basso-corporeo, la storia sceglie invece di miscelare la consueta lezione morale sulla prevalenza (nella scala gerarchica dei valori) degli affetti familiari con una tipica struttura da teen movie americano, dove l'adolescente titubante alla perenne ricerca dell'accettazione sociale assapora la vanità dell'essere cool prima di ravvedersi.
La dura legge delle high school americane viene trasposta nell'universo cinofilo, fra bastardini e pedigree, e marcata in più occasioni: dall'incipit che mostra un adolescente grande e grosso vessato dalla quotidianità liceale, ai continui ammiccamenti al serial The O.C.. e alle giovani emulatrici dell'ereditiera per antonomasia, Paris Hilton, con chihuahua a bordo della loro borsetta griffata.


L'incrocio fra le due sfere non è utile allo svolgersi delle situazioni e permette al suo gigantesco cagnone protagonista solo un duplice accumulo di situazioni conosciute e gag corporali abusate, insomma senza mai una sola gag che colga nel segno.
La lezioncina buonista arriva (come di consueto) alla fine con la scelta che pende, come è giusto che sia, sulla famiglia, con il ravvedimento di un padre assente e distratto alla ricerca della pubblicità perfetta e del successo professionale. Nel suo ravvedimento, complici il grosso alano e una ridefinizione della prima regola del marketing: se la pubblicità è l'anima del commercio, un cane come testimonial può aiutare. Tanto.