TRANQUILLE DONNE DI CAMPAGNA

Bassa Padana, 1936. Guido Maldini (Phillippe Leroy) è il dispotico ed incontrastato reggente della tenuta di campagna in cui vive ai tempi del Duce.

Un padre-padrone reazionario, guerrafondaio, manesco e puttaniere.

Il suo temperamento violento lo fa odiare da tutti e dal figlio innanzitutto, emblema di un microcosmo giovanile isolazionista e di quell’accidia e di quel languore tanto odiati dalla superominica camicia nera di turno.

Il giovanotto, colto dall’esasperazione, cerca invano di ucciderlo.

Ma in seguito, tutta la famiglia unita, servitù compresa, ci riesce, simulando un suicidio.

TRANQUILLE DONNE DI CAMPAGNA, malgrado il fuorviante titolo da commedia scollacciata, è un erotico-drammatico che non trova la sua strada.

Vorrebbe contenere metafore sul Ventennio, sul Duce e la sua decadenza (attraverso la figura di un dispotico signorotto di campagna donnaiolo e del suo rapporto con la famiglia), ma ci riesce poco e niente.

Come erotico è all’acqua di rose, anche se permette a una giovane Serena Grandi di far intravedere ottimi e solidi “argomenti”.

Come dramma non è incisivo.

Nonostante la messinscena spartana, la confezione è dignitosa e il film risulta abbastanza credibile nell’ambientazione.