DJANGO

Arizona, 1865. Il taciturno reduce nordista Django (Franco Nero), occhi azzurri, passo pesante e cappellone sugli occhi, arriva nello sperduto e fangoso paesello trascinando una cassa da morto, col desiderio di vendicare la moglie assassinata dal fanatico e malvagio maggiore Jackson, comandante d'una minacciosa setta di incappucciati.

Dopo aver fatto assaggiare agli uomini del maggiore il contenuto (in piombo) della cassa (da morto) Django prova anche a rimpinguare le sue casse con l'oro del maggiore.

E per riuscire nell'impresa che sceglie l'alleanza con l'avido Hugo Rodriguez, ambiguo generale messicano cui aveva salvato la vita, alla guida di un esercito di straccioni aspiranti rivoluzionari.

Ma non tutto andrà secondo i suoi piani.

DJANGO , sanguinolento e violentissimo (dopo 3 minuti ci sono 9 morti ammazzati. Allo scoccare della mezz'ora, siamo a quota 48 nda), fangoso e sgargiante, è uno dei pilastri dello spaghetti western, che con un esasperata dose di sadismo tenta di replicare il successo di PER UN PUGNO DI DOLLARI.

Pur ammettendo che Sergio Corbucci non è Sergio Leone e Franco Nero non è Clint Eastwood, il film ha un suo perché grazie all'impressionante caratterizzazione del protagonista (una spettrale macchina da guerra in carne e ossa) oltre che alla grintosa regia del regista (fulminanti l'inizio e la fine).

Rispetto ai film di Leone, al quale ovviamente qui ci si ispira (e qua e là copia), l'ambientazione è molto più lugubre, crepuscolare e dalla polvere si passa al fango, terreno più fertile per la disperazione e la "morte in vita" del protagonista.

Comunque da vedere.