CHIAVI IN MANO

Umbria, 1200. Di ritorno dalle crociate in Terra Santa, il poco prode cavaliere Baccello da Sernano, detto il Favagrossa (?!?) (Martufello) smania dal desiderio di riabbracciare la florida moglie Ubalda (Cinzia Roccaforte).

Che disdetta, la meretrice Trielina (Ramona Badescu), attirato con l'inganno il reduce, le frega la borsa con la moneta sonante e con, peggio, la chiave della cintura di castità, fatta indossare dalla consorte prima per la partenza.

Lo cavaliero ignora che la disinvolta signora, con la complicità del fabbro nordico Capoccione (Sergio Vastano), non soltanto si è liberata dall'ingombrante corazza grazie a un duplicato della chiave, ma si è messa in proprio: insomma fa la puttana.

Il marito cornuto ha un unico modo per rendere pan per focaccia all'artigiano leghista, sposato alla giunonica Genuflessa (Angela Cavagna).

CHIAVI IN MANO, inqualificabile farsa di lana grossa, è il tragico pararemake (negli anni '90), a cura dello stesso Mariano Laurenti, di un film stracult dei mitici Anni Settanta (nientemeno che QUEL GRAN PEZZO DELL'UBALDA ).
CINZIA ROCCAFORTE

La pellicola, vagamente decamerotica, mette in scena un raro campionario di non attori, a partire dalle vistose protagoniste femminili agghindate con scarsi vestiti, rispetto alle quali Edwige Fenech e la Schubert sembrano Greta Garbo e Marlene Dietrich.

Sui protagonisti maschili meglio sorvolare.

Messa in scena povera di mezzi e di gusto, zeppa di anacronismi scemi e agghiaccianti storpiature dialettali, da la sensazione immediata che si tratti di un'operazione senza capo né coda.

Impossibile da recuperare anche per gli amanti del trash più spinto.