APOCALYPTO

Yucatan, 1512. La pacifica tribù è sconvolta dall'assalto dei forti guerrieri guidati dal feroce Lupo Zero (Raoul Trujillo).

Mentre i placidi indio vengono massacrati il prode Zampa di Giaguaro (Rudy Youngblood) mette in salvo in un pozzo la moglie incinta Sette (Dalia Hernandez) e il figlioletto, prima di essere incatenato con i pochi superstiti, malgrado la fiera resistenza.

Schiavi, ecco cosa sono diventati. Lunga è la via verso la terra Maya, dove i primi due prigionieri vengono sacrificati al dio Kukulkan dinanzi al popolo festante.

Ma ecco l'eclissi di sole a fermare i sacrifici umani.

E gli scampati, a cui viene data la possibilità (remota) di scappare, cercano di sfuggire a frecce e lance.

Inizia così la corsa a perdifiato per sopravvivere, in una foresta crepuscolare ed insidiosa ma conosciuta e tornare a casa per salvare i suoi due, anzi tre, cari.

APOCALYPTO non è un referto storico sul declino della civiltà Maya, non è una metafora su quello dell'Impero Americano, né un catalogo di sadiche efferatezze.

È uno spettacolare, crudele e violentissimo kolossal scritto e diretto (bene, benissimo) da Mel Gibson versione regista, che mette in scena, forse senza accorgersene, un precolombiano RAMBO del sedicesimo secolo, in lingua originale sottotitolata.

Una storia d'avventura adrenalinica fluviale ma non noiosa, totalmente romanzesca ad onta dello stile semi-documentario.

L'atletico protagonista corre più di Filippide, in un mondo selvaggio, per scansare clave, sottrarsi a sabbie mobili e serpenti, tra i cadaveri di amici, uscendo indenne anche da cascate altissime.

Un piacevole spettacolo.