LOLITA

Ramsdale, New England (Usa), 1947. Giunto per insegnare letteratura francese, il maturo professor Humbert Humbert (Jeremy Irons) affitta una camera nella casa della piacente vedova Charlotte Haze (Melanie Griffith).

Non senza aver adocchiato in giardino la sorridente Lolita (Dominique Swain), quattordicenne figlia della donna.

La signora corteggia l'ospite, che accetta di sposarla solo per godersi la ninfetta.

Per fortuna (sua) un incidente d'auto porta via la neomoglie, così l'esultante e in fregola vedovo prende per mano (si fa per dire) la figliastra e comincia un lungo viaggio di piacere.

Che si trasformerà in inferno.

LOLITA è un torbidissimo melodramma sentimentale stupendamente fotografato dal furbo praticante dell'erotismo soft, Adrian Lyne, che illustra il romanzo di V. Nabokov con un film lascivo, molle, decorativo, di patinata eleganza, con un finale violentissimo e feroce. Un cambio di marcia efficace.

Giudicando il film in maniera separata e distinta dall'originale colgo che il regista non ha perduto il gusto per le immagini scabrose e i richiami sessuali.


Sanguigno e afoso: ventilatori, stanze di motel, il gelido Jeremy Irons che guarda con voluttà  la maliziosa Dominique Swain che ciuccia per tutto il film banane e chupa chups con i piedini belli in evidenza.



Sottoutilizzata Melanie Griffith.