INTO THE WILD - NELLE TERRE SELVAGGE

Alaska, uno smisurato mare di gelo. Il pick up arranca sbuffando tra pareti di neve alta. A un certo punto il mezzo si ferma e ne scende un tipo magro con uno zaino spropositato.
Una mano gli sporge dal finestrino e lancia un paio di stivali al ragazzo: "Se sopravvivi, il mio numero di telefono è dentro gli stivali".
Il pick up fa ora inversione e torna là da dove è venuto, rimpicciolendo rapidamente man mano che si allontana all'orizzonte.
Con lui se ne è andato anche l'esile filo che univa il ragazzo alla civiltà e indietro è impossibile tornare.
Ora è davvero troppo tardi per i ripensamenti. O no?

Un passo indietro. Georgia (Usa), luglio 1990. Appena laureato, ricco di famiglia, una bella casa, la prospettiva di uno stage ad Harvard, un papà che non sta nella pelle all'idea di regalargli una spider, il ventiduenne Chris McCandless (Emile Hirsch) straccia documenti e carte di credito, dà in beneficenza i suoi 24mila e 500 dollari, sale sulla vecchia Datsun gialla e manda tutti affancul... ehm... e parte, senza dir nulla nemmeno alla sorella Carine (voce narrante del film).
Papà Walt (William Hurt), freddo e distante, e mamma Billie, petulante e lamentosa, non si danno pace, ma lui insiste nel non dare notizie.

Questo non è un viaggio come tutti gli altri. Niente valigie, niente check-in, nè voli charter e passaporti. E lunga è la strada verso l'Alaska, dopo che in Arizona l'auto è stata sepolta dal fango, per il cocciuto ragazzo, che si ribattezza Alex Supertramp (Vagabondo) (una celebre band soul anni '70 nda).

Passano i mesi, fa mille incontri, s'ingegna per sopravvivere, la carcassa di un vecchio pullman arrugginito, il "Magic Bus", dentro cui trova un cucinino, una stufa e un materasso, diventa il suo rifugio, ma il destino è in agguato. Se poi te la vai a cercare...

INTO THE WILD - NELLE TERRE SELVAGGE è un originale dramma "on the road" del multiforme Sean Penn, autore anche della sceneggiatura, che racconta con appassionata partecipazione la storia vera di uno spirito ribelle, quasi da neuro.

Infatti il bravo Sean sembra cincischiare troppo con i vecchi stereotipi socioculturali e stantii clichè antropologici da cassonetti dell'ideologia.

E Supertramp diventa in tal modo un sessantottino sui generis, tanto da apparireun pò suonato persino agli altri fricchettoni mummificati in cui inciampa zigzagando on the road.

Un bravo ragazzo, per carità, ma anche un cacadubbi sempre pronto a concionare sulla società corrotta, sugli uomini che badano più all'avere che all'essere (mannaggia a Fromm...) sul denaro sterco del demonio, sulla libertà, sull'amore universale, sulla comprensione, sulla fratellanza e via con banalità "veltroniane".

Tra gli splendidi paesaggi, resta bellissima l'apparizione del veterano Hal Holbrook nel commovente ruolo dell'anziano e solo vedovo pronto ad adottare il fuggitivo, che ama il genere umano ma lo fa soffrire come una bestia (vedi sorella e genitori), ama gli animali ma li caccia ect. ect.

Insomma avrete capito che la cosa che mi disturba del film sono le frasi fatte, nauseabonde e zuccherose, e la coerenza: questa sconosciuta.