Il deserto dei Tartari

Agosto 1907. Il ventenne e ovviamente inesperto tenentino di fresca nomina Leone Drogo (Jacques Perrin) è inviato alla fortezza Bastiani, estremo baluardo dell'Impero austro-ungarico, di fronte a una sterminata pianura, lugubre e desertica.

Un avamposto morto, una frontiera che si affaccia sul niente, al di là della quale si estende il mitico “deserto dei Tartari”, scomparsi dopo aver distrutto la città di cui si vedono in lontananza le rovine. A Bastiani il tempo trascorre immemore. Aggrappati a meticolosi rituali d’onore, tutti vivono nella monotona ossessiva attesa dei Tartari, il cui arrivo potrebbe riscattare il grigiore della routine quotidiana. Ogni minimo segnale viene subito ingigantito.

Ora l'avamposto sperduto è in stato di allerta dopo che il capitano Hortiz (Max Von Sidow) ha avvistato dei nemici prontamente svaniti.
L'orizzonte è come il programma del Partito Democratico: non presenta una novità che sia una, eppure quei soldati si preparano come se l'attacco fosse questione di minuti.

L'ufficialetto rimanda di giorno in giorno la fuga e intanto passano gli anni (ormai è comandante in seconda) senza che accada nulla, con il nemico atteso con cui battersi che non arriva mai.
Forse no, forse gli assedianti arrivano davvero.

Situato il famoso romanzo-favola (1940) di Dino Buzzati in una cornice storica (nel 1907, ai confini orientali dell'impero austro-ungarico), il regista Valerio Zurlini, cimentatosi nell'impossibile traduzione, ne ha accentuato la concretezza, riuscendo con sottigliezza allusiva a suggerire quel che c'è al di là dei fatti e lavorando ammirevolmente sulla caratterizzazione dei personaggi, con l'aiuto di un grande cast, le struggenti musiche di Ennio Morricone, gli splendidi panorami e le sgargianti divise.

Magari il film paga lo scotto di essere volutamente lento, con scene che si soffermano con tempi quasi rallentati sul deserto, ma era molto difficile (quasi impossibile) nell'atmosfera rarefatta, che ricorda proprio lo stile del libro di Buzzati, intrecciare le (non) azioni dei personaggi, in un'elegante metafora della vita. Naturalmente è un film freddo, ma chi ha mai detto che sia un difetto?

Non è certo facile realizzare un film sul vuoto esistenziale e sullo scorrere del tempo.