IL PRESCELTO

California. L'agente di polizia Edward Malus (Nicolas Cage) si riempie di pillole per scordare il terribile incidente di cui è stato testimone impotente.
Quando un giorno riceve l'angosciata richiesta d'aiuto dell'antica fidanzata un tempo amata Willow: la mia bambina, Rowan, è scomparsa, presto, aiutami a ritrovarla.

Il piedipiatti si precipita così nel bel mezzo del Pacifico nella sperduta isoletta di Summersisle, dove il tempo sembra essersi fermato da secoli e i cui scontrosi abitanti, i maschi a bocche ostinatamente cucite, non gradiscono visite di estranei.


Una comunità ermetica ai visitatori, insomma, dove tutti obbediscono ciecamente a un'autoritaria matriarca, sorella Summersisle (Ellen Burstyn). La piccola Rowan? Mai sentita.


E l'ospite, che soffre di continui incubi, scopre che dietro l'imminente festa neo-pagana si nasconde un terribile e doloroso (per gli estranei) segreto.

IL PRESCELTO è lo spericolato thriller (un remake di "The Wicker Man" ai giorni nostri, molto meno trasgressivi degli anni '70 in cui l'originale aveva luogo), intinto nel nonsense (le incongruenze da menzionare sarebbero tante) e nell'horror, scritto e diretto dal regista Neil LaBute, che mentre cerca di impressionare lo spettatore arredando la scena con frequenti apparizioni di morti viventi, ripresi sopra o sotto l'acqua, affida il ruolo del "visitatore-salvatore" a Nicolas Cage su cui scarica il peso dell'intero film.

Nel cast una sexy Leele Sobieski
Nel 1973, Robin Hardy, aveva preferito porre l'accento sulla comunità pagana, che aveva come capo, Cristopher Lee, sul quale era catalizzata l'attenzione. Tutti i riti e la processione finale (presenti in entrambe le versioni) acquisivano molto più risalto e interesse.

Lo spostamento del baricentro su Edward trasforma il film in qualcosa di più simile a "The Village", con le suddette tonalità da horror-mistery, lontane dalla ritualità neo-pagana, parallela, come concezione, al desiderio di libertà e condivisione del 1968.

Oltre a un'interpretazione mediocre di Cage (ardito sommozzatore con cravatta ed espressione monocorde) il film soffre infatti di una attualizzazione commerciale della sceneggiatura, ripulita dalle sequenze politicamente scorrette o potenzialmente rischiose (Hollywood non ama le tematiche religiose), che lo trasformano in un semplice lungometraggio di genere.

Strambo, questo sì.