SOL LEVANTE

Los Angeles. Durante una festa nella modernissima sede d’una forte industria giapponese, una bionda e stupenda ragazza (bianca) entra nella deserta sala delle riunioni del consiglio d’amministrazione al piano superiore.
Un uomo di cui non si vede la faccia la segue, la distende sul tavolo, le fa alzare le gambe, la possiede: e l’ammazza.
Che imbarazzo al piano numero quaransei della Takemoto Tower.

E chi se ne frega della trattativa (la maxi compagnia nipponica sta per acquisire una grande industria elettronica statunitense), tuona il giovane ed inesperto tenente nero (di pelle) Web Smith (Wesley Snipes) mentre irrompe sulla scena del crimine, ma si trova costretto a farsi affiancare nelle indagini dal maturo capitano John Connor (Sean Connery), esperto in usi e costumi giapponesi oltre che di diavolerie elettroniche.

Il compito degli investigatori dovrebbe essere relativamente semplice, dato che le telecamere del sistema di sicurezza hanno registrato ogni cosa prima, durante e dopo l’assassinio della ragazza: ma l’apparenza inganna, come insegnava il proverbio e come conferma la mistificazione tecnologica. Ci vorrà tanta pazienza per risolvere il rebus muovendosi all'interno della potente comunità del business nipponico.

In questo SOL LEVANTE, tratto da un romanzo (1992) del macinatore di bestseller Michael Crichton, il regista Philip Kaufman, che voleva verosimilmente realizzare un noir d'atmosfera, ha risolto tutto in molte chiacchiere , poca azione, un ginepraio di inutili indizi e pesanti insinuazioni sull'onestà delle corporation americame. 
Di qualche interesse l'aspetto tecnologico: già nei gialli di fine secolo scorso gli assassini s'inventavano al computer.

Rimane qualche battute esemplare di Sean Connery, qui anche produttore esecutivo: “I quartieri malfamati sono l’ultimo baluardo americano”, oppure: “Se non puoi vincere una battaglia, non la combattere”.

Certo pensare che l'ossessione americana dell'invasore adesso non è più rappresentata dal sol levante giapponese ma dalla tigre cinese fa capire che il tempo è passato.