SHUTTER ISLAND

Stati Uniti, 1954. I due agenti federali Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio), congedato dall'Us Army senza disonore malgrado un episodio non proprio cristallino (ne parleremo dopo nda), e Chuck Aule (Mark Ruffalo) vengono inviati con un battello a Shutter Island, di fronte a Boston, per investigare sull'improvvisa scomparsa di una pericolosa infanticida reclusa nell'istituto mentale Ashecliffe, tale Rachel Solando (Emily Mortimer).

Il direttore dell'istituto, il mefistofelico psichiatra Cawley (Ben Kingsley), inservienti ed infermieri sostengono che la madre assassina si sia come dileguata dalla sua stanza senza lasciare alcuna traccia, ma l'agente Daniels pare nutrire fin dal principio dei forti sospetti sul modo di condurre l'ospedale da parte del dottor Cawley e del suo medico assistente, il dottor Naehring (Max Von Sydow).

Un uragano costringe i due agenti a protrarre il soggiorno sull'isola, durante il quale le indagini proseguono e particolari sempre più inquietanti emergono, mentre Daniels continua ad avere delle visioni che riguardano la moglie defunta e le sue esperienze di guerra, in particolare una strage di prigionieri a opera dell'Us Army: quella dei militari tedeschi di guardia al campo di concentramento di Dachau (al cui ingresso, però, campeggia una scritta che era in un altro campo, e dove fiocca la neve sebbene l'episodio sia di fine aprile (1945). Ma un film ha le sue esigenze...).

In pratica l'agente scopre che il sistema repressivo americano nella Guerra fredda anticomunista, in piena epoca maccartista, ricalca quella nazionalsocialista nel decennio precedente: i reclusi nel manicomio criminale, sottratto addirittura alla giurisdizione dell'Fbi, sono cavie di esperimenti di manipolazione della personalità, finanziati con i fondi assegnati alla Commissione per le attività antiamericane. E i reclusi non sono tutti malati; in certi casi sono medici ribellatisi alla terapia che dovevano applicare agli altri. Alla persona proclamata pazza si toglie ogni credibilità: può dire tutto, ma non serve a niente. Dunque il potere, qualunque esso sia, è il male.

Ma se l'agente fosse solo un ex agente? E se il suo fedele sottopostonon fosse un sottoposto? E se i luciferini medici fossero vittime di un malinteso?

Con "Shutter Island" (Isola isolata) il grande cineasta italo americano Martin Scorsese si diverte a dire e a fingere di negare che gli Stati Uniti valgano quanto altri sistemi politici che hanno processato nei loro capi e nei loro militanti, da Norimberga a Guantanamo.
Divertendosi non poco a mischiare crimini di guerra e pace; illusione d'esser migliori e scoperta d'esser peggiori; violenza e potere; delitto e castigo; follia e droga.
La storia è avvincente, anche per la bravura degli attori e del costumista, oltre che per la splendida fotografia (nella sua claustrofobica cupezza).


Il personaggio di Di Caprio rappresenta l'ennesimo man of violence della sua filmografia, colui che lotta brutalmente per cancellare la sua memoria e restare attaccato al proprio mondo. Ma eliminare i ricordi (le immagini, il cinema) significa inevitabilmente creare dei fantasmi, manipolare una serie di immagini preconosciute della Storia (cosa che fa nei ricordi dei campi di concentramento con il carrello che segue un'esecuzione quasi coreografica dei soldati delle SS) e, in ultima analisi, confessare l'impossibilità di far pace con la verità.


"Questo posto mi fa pensare. Cosa sarebbe meglio, vivere da mostro o morire da uomo per bene?"