IL GRANDE SOGNO

Roma, autunno 1967. Ha un'insospettabile grinta sotto il viso d'angelo la piccola borghese Laura (Jasmine Trinca), studentessa universitaria di matrice cattolica pronta a lottare contro le "ingiustizie".
Lotta che si concretizza nel ribellarsi, in casa, in sintonia con i due fratelli minori, ai genitori, partecipando alla marcia per la fine della guerra in Vietnam, all'università ai professori ritenuti "parrucconi".

Nell'aula di Fisica presto occupata, diventa la ragazza dello studente leader del movimento studentesco Libero (Luca Argentero) e con lui sogna un mondo più giusto. Però poi cede al fascino dell'infiltrato Nicola (Riccardo Scamarcio), giovane poliziotto proveniente dal sud che ama il teatro e vorrebbe diventare attore (e proprio per questa voglia di "recitare" comandato allo scopo, cioè infiltrato, dal suo colonnello, un divertente Silvio Orlando), salvo allontanarlo disgustata quando lo incontra con i ferri del mestiere (elmetto e manganello) per una sacrosanta carica davanti alla facoltà.

Nicola, ormai innamorato, cercherà di ritrovarla sforzandosi anche di comprendere un mondo che gli è al contempo congeniale e lontano, in pratica il "caramba" è portato a simpatizzare con le idee della fanciulla (cioè la contestazione globale del sistema). O forse è solo Amore.

IL GRANDE SOGNO è un passabile dramma social-sentimentale, scritto, per un terzo, e diretto da Michele Placido. Gli anni sono quelli che precedono, attraversano e seguono il 1968 e i suoi rivolgimenti e il regista cerca di raccontare se stesso e la sua gioventù, rievocando attraverso il personaggio del tutto sommato bravo Riccardo Scamarcio, la propria giovinezza a due facce, dalla Celere all'Accademia.

Lo fa cercando di descrivere mondi differenti che si incontrano/scontrano in un periodo di fermenti sociali e culturali. Meglio la prima parte della seconda, girata con un'impronta molto "documentaristica", nonostante i fastidiosi stereotipi sulla contestazione e il linguaggio stantio, una di quelle belle foto color seppia che si tenta inutilmente di tenere vive.

Certo un giovane che vede il film si può far l'idea che finito il '68 sia finito tutto. Dopo la ricreazione tutti a casa. Come sappiamo, non è andata così. Per andare a casa molti ragazzi, molti ragazzi ci hanno messo parecchi anni. E non pochi di essi (leggi i fautori della lotta armata) alla vita di prima non ci sono più tornati.

In effetti è come se ci fossero due film in uno. L'uno narra delle vicende amorose di Nicola, Laura e Libero e l'altro delinea un ritratto di quegli anni esplorato con uno sguardo maledettamente unilaterale, spiccio ed elusivo. Uno sguardo che è ancora quello del poliziotto Michele che osserva, senza davvero comprenderlo fino in fondo, un tentativo di cambiare il mondo per lui tanto confuso quanto in fondo velleitario perché dai sogni ci si risveglia. Anche se faccio notare che i protagonisti avranno pure combattuto per cambiare il mondo ma alla fine si sono accomodati sulla comoda poltrona di borghese (vedi i titoli di coda). Insomma faticare stanca, protestare molto meno.