TORNO A VIVERE DA SOLO

Milano. E' arcistufo l'agente immobiliare Giacomo, Giagià per la moglie (Jerry Calà), di essere trattato come un soprammobile dalla moglie Francesca (Tosca D'Aquino) e dai figli Chiara e Paolo, che pure mantiene alla grande.

Ma quando gli piomba in casa la suocera partenopea Filomena, costringendolo a dormire sul divano, sbotta e se ne va nel suo vecchio loft di scapolo, opportunamente rimesso a nuovo, dopo l'avventura in solitaria di molti e giovanili anni prima.

Mentre corteggia con insistenza Jessica (Eva Henger), consorte separata dell'amico donnaiolo Nico (Don Johnson), deve far fronte agli screzi tra papà Leo (Paolo Villaggio) e mamma Clelia (Gisella Sofio) e rintuzzare le timide ed inaspettate avances dell'infelice collega Ivano (Enzo Iacchetti), segretamente quanto disperatamente cotto di lui.

Meglio tornare a casa.

Simpatica commediola sentimentale dell'invecchiato Jerry Calà che fa rivivere, aggiornandolo, un suo antico cavallo di battaglia, il personaggio di "Vado a vivere da solo" (1982), nel medesimo appartamento (che oggi però si chiama loft), con il medesimo arredamento kitsch (ma aggiornato) e le medesime grane. A cambiare è il contesto intorno a lui. Alla voglia di indipendenza dai genitori si sostituisce l'insofferenza matrimoniale e alle prime e sognate avventure sessual-romantiche si sostituiscono tradimenti e intrecci con le mogli ed ex-mogli dei cosiddetti amici.

Alla fine ovviamente non mancherà la lezioncina morale sul fatto che poi sono i figli a rimetterci.

Jerry Calà torna davanti e dietro la macchina da presa per un film che si inserisce nel filone dei "grandi" recuperi delle commedie anni '80, con qualche discreta battuta che si fa largo tra le considerazioni di costume ( i guai della vita matrimoniale), un pò di cattiveria e qualche caduta sul trash spinto, come le vistose signorine (Eva Henger madre di famiglia fasciata in abiti di pelle) e un Don Johnson, ospite d'onore, doppiato con un pesante accento milanese.

Il regista attore non si vergogna di mettere in mostra se stesso, di girarsi un film addosso riprendendo davvero l'arroganza degli anni '80, scrivendo una storia maschilista al massimo e che trattando con forza il tema del divorzio distribuisce le ragioni a senso unico, senza la minima velleità di politicamente corretto, e infine non teme il pericolo del ridicolo dei suoi tormentoni ripetuti guardando in macchina.

Anche le musiche di Umberto Smaila, totalmente fuori dal tempo e quindi incredibilmente azzeccate, contribuiscono nel complesso a creare un mood nostalgicamente trash.

Per noi di tutti i recuperi delle commedie italiane anni '80 questo è il meno peggio. Mette un pò di tristezza (per il tempo che passa) a noi ragazzi degli anni ottanta, ma è la vita bellezza.