SISSIGNORE

Un magnate dell'industria (Gastone Moschin), conosciuto come l'Avvocato (ma guarda un pò la combinazione), guidando come un matto fa una strage provocando la morte di un nutrito gruppo di turisti.

L’autista Oscar (Ugo Tognazzi), per abitudine al servilismo, accetta di prendere in carcere il posto del padrone, che scarica così tutte le colpe sul compiacente poveretto.

Questi, in cambio di un bel pò di quattrini, abbassa la testa e va quindi in galera per tre anni.

Dopo aver così indorato in tutti i modi la prigione all’autista, quando lo scarcerano gli offre, dietro altro congruo assegno, subito una bellissima moglie (Maria Grazia Buccella) e una bellissima casa.

La moglie, però, anche se è moglie vera, sposata in chiesa, è l’amante del padrone e tale rimane, quindi il poveretto ha il divieto, beninteso, di comportarsi da marito.

L’autista esercita al suo fianco solo funzioni di società, rallegrate dal fatto che, adesso, il padrone gli ha dato un alto incarico in una delle sue tante imprese, con tanto di laurea da ingegnere; anche quell’incarico, però, è solo apparente, esattamente come la moglie; gli dà lustro, cioè, ma non gli dà sostanza e, da ultimo, l’espone più o meno allo stesso rischio di una volta, dovendo avallare i raggiri del capo, finchè, dagli e dagli, lo conduce cioè di nuovo in prigione e per un numero anche più cospicuo di anni.

Ma l’ex autista, abituato a dir sempre “sissignore”, non si scompone troppo, va in carcere, dove subisce l'estremo affronto del pescecane: sai che tua moglie aspetta un figlio?

SISSIGNORE è una sconcertante e amara, pur nell’ambito della caricatura, commedia, come si suol dire, di costume, del regista a tempo perso Ugo Tognazzi.

Quel personaggio sempre sottomesso al centro di una storia allegrissima che, nello stesso tempo, è mostruosa e agghiacciante fa parte di un ritratto grottesco e malevolo di un'Italia cinica.

Purtroppo preferendo alleggerire il tutto con la caricatura Tognazzi parte con ambiziosi intenti di satira sociale per ritrovarsi nei paraggi della farsa. Amara.

Da ricordare, a fianco di un Tognazzi sagacemente frustrato, spezzato e succube, Gastone Moschin, nelle quasi totalitarie dimensioni del padrone livellatore e, nel suo affabile paternalismo, duramente spietato.

La moglie, astratta, metà vamp, metà hippy, è l'attrice di ottima presenza Maria Grazia Buccella, tutta amene svenevolezze.

Da notare anche quella che doveva essere (il film è del 1969 nda) una Milano avveniristica e quasi fantascientifica (nei suoi palazzi ultramoderni, con le sue scenografie e i suoi arredamenti quasi pop).