BIANCO ROSSO E...

Lodi. A dirigere le pie monachelle dell'ospedale arriva dalla Libia, cacciata da Gheddafi, che non vuole più tra i piedi gli italiani, la bellissima suor Germana.

La vocazione della madre superiora è tardiva: la poveretta ha preso i voti solo dopo la morte del fidanzato.

Subito si dimostra energica organizzatrice, stimata dai pazienti e dai primario, anche se si accorge presto che tra le corsie più del primario (Fernando Rey) comanda Annibale Pezzi (Adriano Celentano), fervente comunista ateo e convalescente cronico, eterno occupante abusivo di un posto letto, che s’intrufola dappertutto e amoreggia con le infermiere.

Iniziato il lungo braccio di ferro, Suor Germana vorrebbe farlo dimettere, ma il giovanotto è simpatico a tutti, è protetto dal partito, e in fondo è un buon ragazzo che all’occorrenza dà una mano e qualche litro di sangue.

Né la donna, passati i primi scontri, è insensibile agli occhi dolci di lui. Anche se ha preso il velo per la tragica morte del suo amato, suor Germana non ha dimenticato le gioie della terra: pur senza darlo a vedere ha un po’di batticuore quando Annibale le dichiara di essere ormai più cotto di lei.

La volontà di resistergli è ferma, ma l’anima trema. Tutto sembra aggiustarsi per il meglio quando Annibale, rendendosi conto dell’assurdità delle proprie pretese, spontaneamente abbandona l’ospedale, e per mettere a frutto l’esperienza compiuta fra le corsie si dedica ai malati dei dintorni. Senonché l’uomo è pur sempre comunista: l’amore per la suora non lo distoglie dalle battaglie politiche.

Accade così che, alla testa di un corteo di scioperanti, Annibale abbia la sua giornata di gloria, drammaticamente conclusa allorché l’automobile di una banda di rapinatori rompe il blocco stradale imposto da Annibale, e lo travolge.

Portato all’ospedale, l’uomo muore, costretto a rimangiarsi l’ultima ingiuria contro Cristo dal bacio (a mezzo fra l’amore ed il pronto soccorso antiblasfemo) con cui suor Germana gli chiude la bocca.

Due anni dopo la "Moglie del prete" donna Sofia resta in zona Vaticano per una commedia sentimentale, scritta da Tonino Guerra e diretta da Alberto Lattuada.

Il titolo gioca coi tricolore nazionale, l’abito candido della suora e la fede comunista.
L’idea che vi serpeggia è un po’quella fatta propria da quanti ritengono la che reciproca tolleranza, pur nella fedeltà alle rispettive convinzioni, rappresenti virtù sufficiente a far convivere uomini e popoli di opposti principi.

Traguardo non impossibile, sembra dir qui il regista Alberto Lattuada, ove si paragoni la situazione italiana, tessuta di buoni sentimenti, con quella, per esempio, creata in Libia o in Medio Oriente dagli islamici violenti e vendicativi.

Il messaggio rimane comunque "tra le righe" e il film è soprattutto una spigliata commediola, tuttavia con parentesi ironiche e crude, in cui il mestiere dell’autore si esprime nei veloci ritrattini dei protagonisti e nella pittura d’un ambiente gremito di figure colorite.

Le miserie, le angosce e anche le ridicolezze della vita d’ospedale trovano in Lattuada un osservatore forse più efficace che non nello scavo dei caratteri, e perciò spesso prevale il bozzetto, ma in nessun momento il film manca di vivacità e scioltezza.
Sophia Loren mostra la bellezza di un volto che il velo e la cuffia sublimano in ovale perfetto, respiro trattenuto e tentativo di limitare gli ancheggiamenti e il brusco Adriano Celentano, viso da ragazzo e basettoni d'ordinanza (per l'epoca), è inaspettatamente misurato.