FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY

Nord Europa, 1794. Mentre veleggia a tutta randa verso i gelidi ghiacci del Circolo Polare Artico, il capitano Walton (Aidan Quinn) si ferma nella bianca distesa per soccorrere una nave in panne con la targa svizzera: sono lo sfortunatissimo scienziato e barone Victor Frankenstein (Kenneth Branagh), ascolti un pò la storia della mia rocambolesca vita.

E giù a raccontare che già orfano di madre, da ragazzo aveva preso una cotta per la sorella adottiva Elizabeth (Helena Bonham Carter).

Poi all'università l'incontro decisivo con il professor Walden (John Cleese), sul punto di creare un essere vivente in laboratorio, in pratica di riportare in vita i morti.

Lo costruì lui usando il cervello del defunto e ne uscì un mostruoso essere (Robert De Niro) che, respinto dal suo stesso creatore, si vendica sino al tragico epilogo.

Che avverrà, utilizzando la struttura delle scatole cinesi, nello stesso luogo di apertura: tra i ghiacci del Circolo Polare Artico.

FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY è un melodramma in costume messo in scena dall'ambizioso regista inglese Kenneth Branagh con i soldi messi a disposizione dalla Zoetrope di Francis Ford Coppola.

Il film è fedele al celebre romanzo horror di Mary Shelley e ne sviluppa e approfondisce alcuni aspetti: il superomismo del barone; i suoi rapporti con la cugina Elisabetta; la problematica della bioetica e del trapianto di organi, ingrossando la portata fino a sfiorare il trattato metafisico.

Sicuramente un'opera ricca, frenetica, ridondante in cui, forse per la prima volta, il protagonista assoluto è lo scienziato e non la sua creatura.

Robert De Niro, pur travestito da zombi, ha saputo magistralmente infondere al suo mostro solitudine, dolore e infine cattiveria come reazione al rifiuto, disperazione.