THE BLACK DAHLIA

Arrivato alla fine, con fatica, dibattendosi e resistendo a stento a Morfeo, uno si domanda quale sia il senso di un film come THE BLACK DAHLIA, esercizio di stile lustro e seppiatissimo. Con brillantina anni quaranta.
Qualche bella idea formale che si unisce ad un goffo accumulo finale di eventi e personaggi che complica, trascura, rende pesante e stucchevole.

E il cast non aiuta: Hartnett, pettinatino e con quel cappellone, non ha il viso adatto, sembra un ragazzo troppo cresciuto. Ti aspetti sempre che da un momento all'altro tiri fuori una mazza da baseball per giocare.

La Scarlett, secondo me sopravvalutata come attrice, si affida interamente al suo labbro superiore, limitandosi a inturgidirlo attonita. Hilary Swank è brava ma non è propriamente una bellezza travolgente, tant'è vero che va in giro con una luce bianchissima costantemente piantata in faccia e truccata per annullarsi i lineamenti marcati il più possibile.

E poi da Brian De Palma , che con questo film aprì la 63° Mostra di Venezia, il regista della trilogia gangster SCARFACE (mitico),  GLI INTOCCABILI (bello),  CARLITO'S WAY (bellissimo), ti aspetteresti qualcosa all'altezza di cotanto successo filmico.
Invece questo suo ritorno al noir, al nero e alla notte, dentro e fuori, adattando un libro di uno scrittore, James Ellroy, che racconta e ricostruisce la storia dell'orrendo omicidio di un'ambiziosa attricetta di Hollywood, Elizabeth Betty Short, soprannominata The Black Dahlia, omicidio rimasto irrisolto nella giungla corrotta della Los Angeles Anni 40, mi lascia con l'amaro in bocca.

Il corpo della bella ritrovato non venne mai mostrato, troppo raccapricciante e ripugnante, nudo, tagliato a metà all'altezza della vita, gli organi interni svuotati, la bocca tagliata da un orecchio all'altro, come in una smorfia clownesca.




Quindi dicevamo Los Angeles, 1947. Lavorano gomito a gomito nella squadra omicidi gli ex-pugili, ora piedipiatti, Bucky Bleichert (Josh Hartnett) e Lee Blanchard (Aaron Eckhart) che sbattono contro il cadavere straziato di Betty Short, un attricetta porno lesbo e chissà cosa altro. I due, nei momenti di svago, compongono un inossidabile trio con la bionda Kay Lake (Scarlett Johansson), ex-pupa di un gangster prossimo a rimettere piede fuori dalla gattabuia.

La ragazza flirta con Lee, ma fa anche gli occhi dolci a Bucky, che resiste in nome dell'amicizia (fino a quando il collega non tira le cuoia). Anche perchè conosce, mentre indaga, visto che quella ragazza morta (la Dalia Nera) è diventata l'ossessione della città e dei due sbirri, la ricca, lesbica e disinibita (anche non nell'ordine) Madeleine Linscott (Hilary Swank), figlia di un Caltagirone (leggi palazzinaro) dell'epoca. Insomma quanto marcio gira per la città. Quanto dolore, compromessi, triangoli e deriva esistenziale, quando metti i piedi nel fango. Niente di nuovo o particolare, diremmo.

Insomma un deludente poliziesco dalla storia intricata. Con qualche citazione di film muti (L'uomo che ride) e con qualche scena truce e povera di reale suspence. Solo la scena della doppia caduta dalla balaustra (con relativa sparatoria sulle scale) è degna di nota. Attori appena passabili dei quali posso dire che basta la carrellata dei giudizi estetici espressa in precedenza, con la Scarlett che come dark lady mi lascia alquanto dubbioso. Fascinosa? Bah!!

Le immagini mostrate della Dalia sono solo quelle di una serie di pseudo provini in bianco e nero che Bucky guarda e riguarda. Insomma cinema nel cinema.

Un film fumoso. Elegante ma fumoso.